topolino


22 settembre 2014

Stati Uniti -4a parte- Las Vegas

3 Luglio. Las Vegas.

Si parte da San Francisco lasciandoci Lucone, lui partirà la sera e si godrà un'altra giornata nelle bellissima città californiana, piuttosto avara però di giornate soleggiate, infatti anche oggi è grigia.
Affittiamo un Van, siamo sempre cinque con bagagli che aumentano a vista d'occhio, e a l'orario previsto siamo all'aeroporto, check- in automatico con qualche  problema. Un assistente che doveva prelevare il contrassegno per una nostra valigia non si è fatto trovare al momento giusto e qualcun altro lo ha applicato ad un altro bagaglio ma, nonostante tutto, partiamo senza problemi.
Las Vegas ci saluta con l'acqua, una cosa che non avevamo assolutamente previsto, le nuvole non ci hanno mai abbandonato e lì addirittura il manto stradale è bagnato ed ancora sta piovendo anzi, le previsioni anche per il giorno successivo non promettono bene. Altro Van per l'MGM Grand, un enorme hotel che ci attende  con la sua imponente struttura verde scuro, è enorme, in tutti i suoi aspetti e in parte mi colpisce un po', io a Las Vegas c'ero già stato ma non ricordavo dimensioni del genere, però è anche vero che 27 anni, in America, sono un'eternità, qui tutto cambia molto più velocemente che da noi, sopratutto in questa città.
Ma la pioggia intanto è scomparsa e si sta affacciando qualche raggio di sole.
Il check-in al desktop si presenta problematico e dispendioso, infatti c'è una fila che si snoda lungo una serpentina che non finisce mai, ed impieghiamo una quarantina di minuti per espletare le formalità di rito, poi un po' di tempo a trovare il ramo dell'albergo dove si trovano le camere, ci mettiamo a girare tra slot, tavoli di baccarat e roulette, alla fine, non con pochi sforzi, ce la facciamo.
Le camere sono molto carine, funzionali e moderne, l'unica perplessità è che, per quanto all'ultima moda con tanto di acciai cromati e vetri acidati, la camera si apre direttamente sul lavello del bagno e, anche se adesso fa una gran figura, la previsione è che quando i flaconi, i profumi, gli spazzolini ed il tutto sarà più vissuto e disordinato, forse la vista non sarà così architettonicamente ineccepibile.
Lasciamo i bagagli e ce ne torniamo in strada, l'obbiettivo sarebbe quello di pranzare, perché gli istinti primari in certe situazioni hanno sempre la precedenza, e noi siamo sempre molto vulnerabili ai peccati di gola, per cui ci troviamo un locale non troppo caro fuori dal MGM e ci fermiamo in uno spazio con vari ristoranti all'interno di una delle tante strutture commerciali che contengono di tutto, da qualsiasi tipo di negozio a qualsiasi tipo di ristorazione con ogni tipo di merce commestibile, Alberto ha voglia di hamburger (che è una delle cose migliori anche se un micidiale killer per il nostro fegato), ma poi non vuole neanche rinunciare ad un burrito che mangiamo a metà.
Poi di nuovo in strada, gambe in spalla alla ricerca di un rivenditore di biglietti per acquistare quello del "Cirque du Soleil" sull'acqua, ci hanno anche consigliato i Beatles ma finiamo per accontentare Luca che gli preferisce il circo francese, ma sarà tutto vano perché non ce più la disponibilità di biglietti.




La hall dell'MGM Grand affollata di persone in attesa del check-in.


L'ingresso principale dell'MGM, con l'attrazione principale della struttura, il mago David Copperfield.


La dedica dell'artista Richard MacDonald agli acrobati del Circle du Soleil.

Nel tragitto attraversiamo il boulevard principale e passiamo di fronte all'albergo casinò New York New York con un rollercoaster che lo attraversa, l'Aria con una colonna video che trasmette pubblicità ed annunci, il Montecarlo, il Paris con un enorme mongolfiera con annunci e la sua torre Eiffel praticamente identica al l'originale ma in scala ridotta (e neanche tanto), poi entriamo al Bellagio, bellissimo hotel casinò venuto alla ribalta per la location del film "Ocean eleven"' con la sua enorme laguna di fronte dove, proprio al momento del nostro transito hanno inizio gli spettacolari giochi d'acqua di fontane che zampillano a tempo di musica con schizzi alti qualche decina di metri, in sincrono in modo fantastico, uno spettacolo  per gli occhi, un giro al suo interno dove i richiami all'Italia sono volutamente citazionistici, con gallerie piene di negozi di Armani, Prada e vario Italian Style.







Dall'alto verso il basso: Aria, Cosmopolitan, Paris e Bellagio (sullo sfondo il Caesar's Palace).


La gallerie del Bellagio dove sono presenti i più prestigiosi marchi del Made in Italy.

Poi il Caesar's Palace: ora, voi dovete sapere che 27 anni fa, Las Vegas era stata una delle tappe del mio viaggio di nozze, per cui credevo che allo sfolgorio della città ci fossi abituato, invece è stata praticamente tutta ricostruita, sono stati abbattuti enormi hotel per lasciare lo spazio ad altri ancora più monumentali e sfolgoranti.
Il Caesar's Palace era, all'epoca, la novità ed il baricentro dell'interesse, in quel periodo infatti, oltre che ai normali concerti e spettacoli di rito, venivano organizzati incontri di boxe per i vari titoli mondiali a disposizione ed era, ricordo, radioso nella sua magnificenza.

Beh, se non ci fosse stato scritto non l'avrei riconosciuto, tanto è cambiato, pur rimanendo fedele allo stile romano delle architetture ed ai relativi riferimenti, ma la struttura è molto più imponente, sviluppatasi in verticale e raddoppiando la sua volumetria. Tant'è che il rapporto con il Flamingo Hilton che gli sta di fronte, e dove ero alloggiato nel mio primo viaggio, rimasto lo stesso più per una questione storica che altro -dovete sapere che il Flamingo fu il primo albergo costruito a Las Vegas dal gangster Bugsy Malone che, con la costruzione di quell'edificio praticamente fondò la città che si sarebbe sviluppata solo successivamente alla sua morte- risultava quasi patetico nelle sue pur non indifferenti dimensioni.
La scala di grandezza di tutto il panorama è raddoppiata rinnovandosi e crescendo in volumetria e dimensioni, ne sono rimasto stupefatto, oltre alla quantità indescrivibile di persone, e l'offerta esagerata di spettacoli, show, musical e presenza di celebrità di ogni tipo.




L'entrata del Caesar Palace. 


La parte antistante il Venetian con tanto di laguna, gondole e gondolieri, e di fronte il Mirage.


Il campanile di San Marco che guarnisce l'imponente struttura del Venetian.

Altra curiosità sono i cuochi, le nuove star, ogni albergo ne propone uno, quasi volendosi misurare con gli altri a colpi di piatti raffinati e ricercati, di una ricercatezza che, sinceramente, viene spacciata per tutti, ma che per tutti non è.
Proseguiamo verso il Venetian, creato ad immagine e somiglianza di piazza San Marco con tanto di specchio d'acqua e gondole antistanti, all'interno del quale, sotto un cielo ricostruito e del quale credo si riproduca la luce di varie ore del giorno, è stato ricostruito in scala ridotta un un ulteriore canale con tanto di palazzi e gondole in transito, con gondolieri che intonano un improbabile "O sole mio" storpiandone le parole ed inventandosi un "gramelot" tutto americano. All'uscita dell'albergo assistiamo, caso vuole (alcune situazioni hanno orari precisi che si devono conoscere per avere l'opportunità di assistervi), all'eruzione di un vulcano nello spazio di fronte al Mirage, altro enorme struttura che dispone di un falso paesaggio tropicale, con rocce, palme e cascate d'acqua, dietro il quale comincia a zampillare acqua con varie intensità che, illuminata da luci giallo-arancio dal basso sembrano lapilli di lava, il tutto accompagnato da tuoni e rombi e fiammate che si alzano verso il cielo, la legge del marketing e della visibilità, impone ad ogni albergo l'obbligo di proporre paesaggi e attrazioni particolari e curiose per attirare turisti e giocatori verso i propri spazi. Di fronte a tutto questo, affacciati al parapetto che divideva l'area, una miriade di orientali che si accalcano di fronte allo spazio, muniti di cineprese e macchine fotografiche, tutti a braccia alzate per sopravanzare le altezze altrui trasformando la marea umana in una bolgia di mani alzate come fosse una resa collettiva, tutti protesi a immortalare un ricordo che ha valore solo se vissuto in prima persona e poco riproducibile in versione pixelata, ricordo che, nel suo artificio, per quanto suggestivo, ha valore all'interno di una città, ed uno spazio che induce alla sospensione del giudizio critico, infatuato dall'orgia di divertimento e del ritorno alla fanciullezza in questa enorme e smisurata Disneyland per adulti.
Cominciamo a fare il percorso inverso, sta calando la sera ed il paesaggio visto fino ad adesso si trasforma in una fantasmagoria di luci e colori, la mutazione, e lo ricordavo molto bene, è radicale, l'acciaio ed il vetro lasciano il passo alla luminosità di quelli che adesso sono veri e propri video di decine di metri che reclamizzano, invitano ed alludono ad ogni tipo di desiderio, le luci delle auto, le intermittenze, le fantasie le insegne rendono il panorama unico ed irripetibile, lo abbiamo visto in molti film, non sono cose mai immaginate, ma l'impatto è e rimane indelebile ed impressionante.





Poi la notte, tinge la città di altri colori ed altre atmosfere...

Nel tragitto scontiamo la lentezza del passo per la calca di persone, è domenica, è vero, ma la marea umana è impossibile, nel tragitto incontriamo statue umane di tutti i tipi, falsi Michael Jackson che intonano a passi di danza Bad o Black or White, statue di personaggi famosi con cui fotografarsi insieme, personaggi improbabili, musicisti di strada, tutta una fauna umana curiosa ed assortita.
Siamo stanchissimi, il viaggio e l'interminabile camminata ci ha provati, arriviamo all'albergo e decidiamo un ristoro in un bar all'interno, avrei scelto un chowlder (una minestra servita all'interno di un pane) che avevo già adocchiato in precedenti occasioni, ma avendo terminato il pane, ho optato per una più salutare insalata ed una birra locale, la necessità di bilanciare hamburger ed il burrito era reclamata a gran voce dal mio fegato, che protestava da ore e poi, stanchi, siamo finiti a letto.

4 Luglio. Las Vegas.

Appuntamento per le nove, avevamo bisogno di sonno e ci siamo concessi del tempo, prima operazione da compiere l'acquisto del biglietto di uno spettacolo al quale non vogliamo rinunciare, tra tutte le offerte e dopo avere scandagliato desideri e opinioni di tutti, optiamo per "One" lo spettacolo interamente dedicato a Michael Jackson e le sue canzoni, che verrà effettuato al Mandala Bay, un albergo poco distante dal nostro.
Poi prende forma la direzione della nostra mattina, è la downtown verso l'obbiettivo è il Gold e Silver Pawn Shop, il negozio dove girano la serie "Affari di famiglia", una sorta di sit-com girata all'interno di un banco dei pegni, pare che goda di buona popolarità, io ed Alberto a dire la verità non abbiamo idea di che cosa si tratti ma ci accodiamo alla comitiva, il taxi che ci porta vicino al negozio è un Van, siamo cinque ed abbiamo di spazio, alla fine risulta anche più conveniente anche se ci impone file un po' più lunghe per la sua reperibilità.
Fuori dal negozio c'è la fila, anche questa è una costante: le file, regolate dalle serpentine, impongono la regola del l'attesa agli americani, una regola semplice ed inderogabile alla quale sottostare ma che, almeno personalmente, adoro; in Italia il problema non è fare la fila, ma contenere lo stress causato dai furbi che fanno di tutto per passarti avanti ed eludere i minuti di coda, in quello che è l'espletazione dello sport nazionale, e cioè quello di cercare di fregare il prossimo, sport nella quale primeggiamo da sempre e nel quale nessuno riesce a scalzarci dalla prima posizione. Al termine della fila, un cordiale buttadentro, ma che in realtà è un operatore della sicurezza ci fa entrare appena un numero di persone identico al nostro gruppetto esce dal locale. L'interno non presenta, almeno per me, motivi di curiosità, appare come una sorta di gioielleria ma in realtà espone una miriade di oggettistica diversa, dai gioielli ad armi d'epoca, quadri di dubbio valore, cimeli vari, moto usate, foto o maglie di campioni autografate o della fine dell'800, paccottiglia di ogni genere, e poi l'immancabile materiale promozionale della serie tv, con poster, t-shirt, berrettini e merchandising vario. Noi ci fermiamo di fronte ad un visore che ci propone una foto incorniciata con il logo del locale da inserire nel loro spazio Facebook è condiviso con il nostro, cosa pensate che abbiamo fatto?




Affari di famiglia.

La riflessione che ne è scaturita, e di cui ho già scritto in altro spazio, è proprio riguardante Facebook e la condivisione delle esperienze, e tutte le eventuali domande che ne conseguono. Il mio gruppo, a parte il sottoscritto (che comunque pian, piano si sta adeguando) anche per motivi  professionali, è molto tecnologico, per cui la connessione e la ricerca del collegamento è abbastanza frenetico, un parte perché è di un aiuto incredibile ed un altro perché oramai, nella visione collettiva della nostra vita, pare che non si possa fare a meno di ammorbare la vita degli altri sottoponendogli ogni cazzata che facciamo. Per cui sarebbe lecito da stabilire se, ad esempio, le foto che facciamo le facciamo davvero per il ricordo dell'esperienza vissuta o perché ci servono per condividerle su ogni social network possibile immaginabile, e l'altra domanda derivante è: PERCHÈ?
Per quale motivo gli altri dovrebbero essere interessati ai nostri divertimenti?
O alle nostre faccende? O addirittura alla nostra vita quotidiana?
Per quale motivo una volta eravamo gelosi della nostra privacy ed adesso rendiamo pubblico ogni cosa?
Perchè anche prima era bello condividere le nostre esperienze ed amavamo farlo con altri, mi sembra un comportamento non criticabile, ma questi altri non erano degli sconosciuti, o degli appena-conosciuti, ma parenti o amici.
Non è forse che in questa rincorsa alla ribalta che l'imposizione di certi modelli culturali, cerchiamo un palcoscenico che internet ci ha offerto gratuitamente ed amiamo far rosicare gli altri, mostrando quanto è bella ed interessante la nostra vita? Non è che, meschinamente, amiamo farci invidiare perché questo da un senso alla nostra esistenza, illudendoci che la nostra sia migliore di quella degli altri? E tutti gli I LIKE sono il termometro di quanto siamo ganzi e fortunati ed è un metro di distinzione e di affermazione?
Non è che, nel bene o nel male (ma io sono propenso per il secondo) che un po' tutti, anche quelli che li snobbano, alla fine si sono fatti fagocitare dai reality e adesso siamo diventati protagonisti volontari di quello più semplice ed alla nostra portata?
È vero, siamo animali sociali e ci comportiamo di conseguenza, in fondo è anche divertente scambiare quattro chiacchiere o sapere che una tua foto è apprezzata da altri, o riallacciare contatti con persone che non vedevi da anni, o addirittura crearne di nuovi, o sapere che una persona che stimi ti ha concesso l'amicizia, io non voglio stigmatizzare comportamenti sociali condivisi e comuni, anche perché lo faccio anche io, ma credo che sia importante porsi qualche domanda, fare alcune riflessioni.
So già la risposta che mi daranno i più saggi: è l'uso che se ne fa che ne giustifica l'utilizzo, e soprattutto basta sapere quando fermarsi, conoscere appunto, qual'è l'indicatore della modica quantità...già, a proposito, qual'è?
Fermiamoci a pensare alla schizofrenia di alcuni nostri comportamenti, cerchiamo di regolare il tutto secondo dei metri che sono equilibrati, perché per qualsiasi stronzata ci fanno firmare tonnellate di carta legati al segreto sulla privacy e poi andiamo a spiattellare su un canale dove hanno accesso milioni di utenti le nostre cose, a volte anche più intime. Chiediamo l'amicizia a persone che crediamo potrebbero essere interessate a noi, quando invece c'è la concedono soltanto per fare quantità ed anche perché il numero si seguaci, a parte qualche giusta considerazione di tipo promozionale, spesso è un illusorio indice di successo.
Insomma, ogni tanto fermiamoci a facciamoci alcune domande, proviamo a pensarci sopra e ripensiamo ai nostri comportamenti, potrebbe anche essere utile, tanto lo so che poco dopo riaccendete il PC è andate su Facebook.
Cerchiamo di capirci, io espongo soltanto le perplessità che credo debbano essere comuni, non sono migliore degli altri, perché faccio esattamente le stesse cose, sono i sensi di colpa che mi fregano.

Perdonate comunque questa digressione da grillo parlante.

A piedi ci dirigiamo verso lo Stratosphere, un albergo casinò con un'enorme torre sulla quale oltre che ad un ristorante ci sono attrazioni di vario genere, piattaforma per bump jumping e si gode una fantastica vista della città è altro oltre cento metri ed ha uno splendido colpo d'occhio. In realtà, ad ogni nostro passo per avvicinarsi alla torre, il tempo di fronte a noi  si rabbuiava, questi due giorni in terra di Nevada sono stati di una originalità mai immaginata poiché entrambi bagnati dalla pioggia, una manifestazione atmosferica che da queste parti è piuttosto rara, il tassista ci ha detto che erano anno che non vedeva un tempo così è la nostra fortuna è stata quella di trovare delle temperature accettabili, infatti eravamo interno ai 24-26 celsius, mentre normalmente c'è ne sono una decina di più.
È ora di pranzo e prima di entrare nella torre fermatina d'obbligo per i nostri hamburger quotidiani, il posto è accogliente e sembra pulito, non c'è troppa gente e mangiamo di gusto anche delle patatine dolci fritte, il fegato mi manda continuamente segnali di insofferenza ma, temo, dovrà stringere i denti ancor per qualche giorno.
Inizia a piovere appena usciti dal locale, c'è la facciamo ad entrare allo Stratosphere  appena in tempo prima che arrivi quelle che oggi vengono chiamate "bombe d'acqua" e che credo siano un segnale inconfutabile del tempo che sta cambiando anche a queste latitudini, se è vero come è vero, che nessuno successivamente ricorda di avere visto a Las Vegas tanta pioggia come è venuta in quei minuti. In realtà queste considerazioni le abbiamo fatte solo successivamente, perché all'interno ci siamo messi in coda per andare sulla vetta della torre ed una volta arrivati in cima abbiamo constatato che una parte del panorama, quello a nord, era invisibile a causa di una pioggia fittissima ed in seguito le auto che vedevamo transitare nelle strade sottostanti, smuovevano masse d'acqua non indifferenti. Insomma, Las Vegas annegata dalla pioggia non credevamo di poterla vedere, non era un panorama che mi ero immaginato ma, visto la rapidità con cui il temporale è passato e la velocità con cui il cielo si apprestava a schiarire, sono felice del colpo d'occhio inusuale che ci è stato offerto. In cima alla torre la vastità e l'ampiezza dell'area urbana della città è visibile in tutta la sua grandezza, la città si sviluppa in verticale in corrispondenza dei grandi alberghi e della iper e down Town dove sono presenti in maggiore quantità alberghi e casinò, poi si sviluppa in orizzontale con stradine ordinate e una miriade di villette, villettine e centri abitati a perdita d'occhio.




Le cose più interessanti in vendita da Gold e Silver Pawn Shop, armi del west di ogni foggia e periodo...per il resto, almeno per me, ammennicoli e tanta paccottiglia, anche di dubbio gusto.


In marcia verso lo Statosphere che si vede in lontananza...sì, avete capito bene, in marcia, cioè a piedi...


Una delle tante cappelle pronte per l'uso di matrimoni alla voleé, con pastori pret-à-porter e limousine ad hoc.

Prendiamo la monorotaia che ci porta direttamente al MGM Grand, il nostro albergo, e da lì cominciamo ad avviarci verso il Mandalay Bay e continuiamo ad esplorare i restanti alberghi-casinò che ancora non abbiamo visto, anche perché questi sono tutti collegati tra di loro da ingressi interni e passaggi stradali sopraelevati in corrispondenza dell'attraversamento dei boulevard, iniziamo con il New York New York con le sue stradine simulanti quelle di Manhattan, l'Excalibur in stile medioeval-posticcio, ma che secondo me mantiene poco di quella atmosfera, poi il Luxor, a forma di gigantesca piramide e costruito in modo che, nella parte interna i corridoi di accesso alle camere diano sul l'enorme spazio interno con attrazioni, desk, negozi e quant'altro, per arrivare finalmente al Mandalay Bay dove la folla degli spettatori si sta già accalcando all'ingresso del teatro.
C'è di tutto, ma c'è anche da notare una certa attenzione, da parte delle giovani americane, all'ostentazione di un'eleganza che nelle corrispettive italiane non noto, almeno non con quella tipologia di abiti, e cioè con la vocazione a quell'eleganza un po' vetusta e conformista che le nostre ragazze non amano, indossano infatti succinti abitini da sera forse più adatti alle loro mamme che a loro, ma tant'è!





La serata dopo la visione di "One" lo spettacolo dedicato a Michael Jackson, il costume originale della star in bella mostra, e l'allegra brigata in rientro verso l'hotel, con la visione notturna della città.

Il teatro è piuttosto ampio, e oltre al palco decisamente grande dispone di un suo ampliamento, sfruttando come scenografia anche le parti laterali che, facendo da schermo, amplificano le proiezioni dandogli un effetto maestoso.
Inutile che vi descriva lo spettacolo, sono emozioni e visioni che si possono provare soltanto direttamente, certo, la complessità, la tecnologia ed il dispiego di mezzi e professionalità, qui sono davvero espressi ai massimi livelli, piattaforme che scompaiono, effetti di luce al laser di ogni tipo, ballerini e giocolieri, costumi con luci incorporate che cambiano colore ed intensità indipendentemente ed addirittura una specie di ologramma in cui Michael Jackson balla con i veri ballerini, in un'atmosfera di incredulità. Il tutto accompagnato dalle musiche del cantante scomparso, davvero tanti i successi e le melodie conosciute, davvero intense le emozioni provate, difficile poter vedere spettacoli del genere in Italia, non credo che abbiamo, o se ne abbiamo sono troppo pochi i teatri che godono di spazi e strutture del genere. 

C'è da dire che agli americani non si può negare la capacità di concepire ma sopratutto realizzare spettacoli senza risparmio di energie, anche con le loro esagerazioni, è vero, molte cose visto con il senso critico sono pacchiane e sopra le righe e per noi sono inconcepibili, ma il dispiego di mezzi ma quasi sempre i risultati raggiunti inducono ad un ammirazione per quello che riescono a fare: se loro hanno un'idea e la ritengono vincente e convincente: la realizzano, non importa quanto costi o cosa ci vuole per farla, la fanno e basta.
E nel campo del l'entertainement sono i migliori, e non lo dico per considerazioni personali ma perché, e vi sfido a contraddirmi, hanno condizionato e condizionano il nostro immaginario dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, ed anche se non è completamente così per tutti (ci sono sempre i resistenti che contestano il predominio statunitense) non riusciamo a rimanere indifferenti a certe manifestazioni di capacità e grandezza.
Rientriamo in albergo compiendo il tragitto a ritroso, le luci si sono accese ed il panorama è cambiato, i tavoli di roulette, baccarat, chemin de fer e poker si sono rianimati, le slot non hanno mai cessato di funzionare, tutto normale in questa città concepita e pensata per il divertimento a 360 gradi, nessuno si ferma mai, si gioca e ci si diverte a tutte le ore, è una festa continua, un carnevale 24 ore su 24, tutta l'energia disponibile ha un unico scopo e soltanto quello è inseguito incessantemente e senza un attimo di tregua.
È una città che difficilmente si può descrivere, c'è ne possiamo fare un'idea, ma fino a che non si è conosciuta personalmente, non possiamo capire di che cosa si tratta, perfino io, che l'avevo già visitata ne sono rimasto nuovamente colpito, perché il cambiamento così radicale ed il suo ingrandirsi alla ricerca di un gigantismo sempre maggiore lascia senza fiato, perché hai idea che sia un processo che non solo non si possa fermare, ma ti domandi fino a dove può arrivare e se una corsa così frenetica sia paragonabile ad una Sodoma e Gomorra che corre velocemente verso la sua distruzione per implosione.
Vabbè, adesso non voglio scendere nell'apocalittico, tuttavia Las Vegas rimane una città unica, l'apologia al consumismo ad alla leggerezza, al vizio e al desiderio dell'uomo verso i suoi istinti più proibiti, quelli a cui apparentemente deve rinunciare ma che in questo luogo può assecondare trovandosi, nella condivisione con gli altri, una giustificazione possibile, una terra di nessuno dove eccedere e dove procedere nei suoi territori più oscuri e sconosciuti, un limbo in cui può tornare bambino senza dover confessare alla mamma le proprie colpe e, per questo, un posto magico!





Las Vegas by night.

Rientrati all'MGM facciamo il check-out per ritrovarsi la mattina con maggiore tempo libero a disposizione, partiamo molto presto per New York, metto la sveglia alla 4,35, una levataccia, mi auguro sull'aereo di dormire...

...infatti sono qui che scrivo, e quanto scrivo.

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