topolino


8 settembre 2014

Stati Uniti -2a parte- Da San Diego a Los Angeles


27 domenica. Last day in Comicon.

Le previsioni erano di evitare la bolgia domenicale del Comicon ma, vuoi perché era di strada, vuoi perchè lo shuttle porta inevitabilmente in prossimità del Convention Centre, e vuoi anche perché le cose da fare sono sempre più del previsto, siamo rientrati per pochi momenti per acquistare un libro, un regaletto una cosuccia.
Poi in direzione per l'Harbor Drive la passeggiata lungo la baia per andare a vedere la portaerei ancorata e visitabile: la Midway.
Foto lungo la passeggiata, dopo un breve scroscio d'acqua che ci ha obbligato ad una sosta allo Starbucks (c'è ne sono a decine, ma che dico: centinaia) del Marriott, l'unico caffè "bevibile" da queste parti, poi una sosta ad una bellissima esposizione di auto vintage nello splendore delle loro cromature e accudite come puttini dai loro orgogliosi proprietari, un alternarsi di bar e ristoranti di fogge architettoniche affascinanti, in parte perché diverse dalle nostre e perché lo stile western che le ricorda mi fa tornare bambino e perdo la lucidità del senso critico.






Sul lungomare di San Diego, tra le costruzioni in legno di strutture turistiche, la mostra di auto "vintage" splendidamente conservate e la visita alla portaerei Midway.

La Midway si staglia davanti a noi in tutto il suo splendore, dopo una breve curva della passeggiata, il grigio della pittura militare delle USS Navy Force fa la sua imponente figura, si intravedono gli aerei in sosta sulla pista, le piattaforme abbassabili con jet militari degli anni 50/60 e le persone che, pagato il loro tour, si godono la visita guidata sulla tolda e nei vari spazi disponibili.
La fila è lunga e il tempo, in parte consumato al Comicon dove, nonostante tutto si deve ritornare, ci impediscono la visita guidata che sarebbe stata comunque impegnativa per le nostre tempistiche, decidiamo di pranzare al volo con un hamburger fatto da un ambulante, ascoltando jazz da un'orchestra a di tre neri organizzati con casse Bose e di grande talento.

Vicino, un monumento del "marinaio che bacia l'infermiera alla fine della guerra" non è altro che uno dei tanti riconoscimenti alla città per le sue offerte alla patria, vicino un ulteriore contributo ad un eroico incrociatore veloce che ha attraversato oltre 35 ingaggi con il nemico e 18 vittorie riconosciute senza avere perso un solo membro dell'equipaggio e la topografia di tutte le sue campagne. Quasi di fronte alla portaerei un altro tributo ad un personaggio molto amato da queste parti: il comico ed attore Bob Hope, con un bellissimo spazio a lui dedicato, con un monumento in cui lo raffigura in dimensioni reali di fronte ad un pubblico di militari e feriti in ascolto, evidente ricordo di un suo spettacolo per le truppe, e con il coinvolgente sonoro in filodiffusione dello spettacolo.







Di fronte alla Midway, si staglia la gigantesca statua che raffigura il famoso "bacio" tra un marinaio ed una infermiera scattato dal fotografo Alfred Eisenstaedt a New York in Time Square alla fine della guerra, il monumento a Bob Hope, il memoriale sulle gesta dell'incrociatore leggero USS San Diego che non ha mai perso un solo marinaio per l'intera durata della 2a Guerra Mondiale, e la musica jazz del "fantastico trio" che si esibiva sul molo.

Poi Comicon per prendere i gift lasciati per l'occasione e per riprendere Federica dal suo tour in cerca di personalità del cinema e della TV, a discapito di un mezzo militare che non gli interessava.
Poi un giro nel "gaslamp quarter", un gelato degustato più per la seduta ristoratrice conseguente che per la reale necessità di acquistarlo e poi di corsa verso l'albergo, la stanchezza accumulata nelle incessanti camminate dei giorni precedenti oltre che accumularsi, si fa sentire e tutti abbiamo bisogno di una rinfrescata per poi indirizzarci verso la "Old Town" per l'ultima visita in programma e per la cena.
Arrivato alla Old Town ci facciamo portare a quella che per noi dovrebbe essere una stazione del treno e che scopriamo essere, in realtà, simile a quelle dei tram di superficie, al punto che la confondiamo con queste proprio perché sono pressoché identiche. Il biglietto dovrebbe essere fatto in modo elettronico, ma non ci fidiamo e decidiamo di chiedere in albergo ulteriori informazioni.
Qui sembra che oltre auto ed aereo non esistano altri tipi di spostamenti possibili per gli umani, treni ed autobus non sono presi in grande considerazione e anche le informazioni richieste sono lacunose ed imprecise.
Scopriamo però che esiste una stazione in città, l'indomani controlleremo.


Old Town è una delle tante città in stile western tranquillamente ricostruite in America, con architetture in legno e con uno spirito pionieristico ma al tempo stesso nomade, non esistono praticamente parchi archeologici e per mantenere vivo lo spirito che da sempre ha animato questa nazione, sono costretti a ricostruire, pezzo per pezzo la loro storia, di sana pianta e, quasi sempre, per scopi commerciali e turistici. Questo quartiere non è da meno ma, come dicevo precedentemente, il mio senso critico viene annullato quando vedo un corral, un porticato con tettoia, un wagon divento un bambino che sogna di galoppare con la pistola in pugno, rivedo la mia infanzia animata dai cowboys e dagli sceriffi, sogno sparatorie ed inseguimento e mi perdo in questi baloccamenti.
Qui, la luce della sera antistante al tramonto ammanta tutto di uno speciale color arancio rossastro e l'atmosfera che si respira è davvero molto suggestiva, scattiamo foto a raffica con simpatiche ricostruzioni di edifici storici, tra ristoranti in adobe in stile messicano, cactus e casette in legno con scritte d'epoca. Troviamo il ristorante Coyote dove abbiamo cenato la prima sera, ci siamo trovati bene e l'idea era quella di replicare, ma la fila si annuncia di circa 45 minuti, un po' troppi sia per l'attesa che per la fame, optiamo per un Miguel che, alla vista sembra altrettanto carino e ci promette un attesa di solo 5 minuti, una differenza non da poco, è il nostro.






Atmosfere western nella Old Town di San Diego.

Ancora tacos con salsa piccante e di queso, burrito di asado con salsa di avocado, fagioli e riso e birra rossa, ci sembra migliore e siamo contenti della scelta, non si sa per la somma algebrica fatta di tempo risparmiato e ristoro anticipato, di certo la conversazione è stata scarsa, la fame ma sopratutto la stanchezza l'hanno fatta da padrone, il servizio veloce e preciso ha anche dimostrato quello che ho sempre immaginato, mai sperare di trovare cucina espressa da queste parti, il tutto è preparato precedentemente e solo riscaldato alla bisogna, i tempi sono esplicativi.
Andiamo a letto di corsa, siamo tutti distrutti.
Domani partenza per Los Angeles by train.

28 luglio. Lunedì. Santa Monica.

Alla reception siamo riusciti ad avere informazioni sulla Union Station di San Diego, il terminale della Amtrak, linea ferroviaria che dovrebbe portarci a Los Angeles, dico dovrebbe perché qui treni ed autobus sembrano appartenere ad un altra cultura, la macchina è la regina indiscussa della mobilità. Concetto espresso anche nel l'acquisto del biglietto, farraginoso e anche comportante un check in simile a quello aeronautico, una fila indiana per arrivare al binario, senza sotto passi o agevolazioni varie, neanche sembra l'America.
Durante il viaggio mi scrivo il report quotidiano e mi connetto comodamente alla rete wifi che mi permette di controllare posta e varie sull'Ipad, il viaggio e comodo ed i vagoni moderni e puliti, il controllore ci segnala dopo aver visionato i biglietti, inserendo un foglietto indicativo in una apposita sede sopra il passeggero in modo da non controllarlo nuovamente durante i passaggi successivi.
A Los Angeles, dopo avere incontrato un portantino che con il suo trenino elettrico ci ha portato nel punto adiacente alla stazione dei bus, appassionato dell'Italia (di cui parlava splendidamente la lingua) e rinunciando alla lauta mancia che gli avevamo già preparato -con la motivazione che voleva ripagare degli italiani della grande disponibilità e gentilezza ricevuta l'unica volta che era venuto nel nostro paese- prendiamo un autobus in direzione Santa Monica, tempo previsto un oretta e mezza, attraversiamo infatti buona parte della città.
Los Angeles è sterminata, una città impossibile da contenere e anche semplicemente da immaginare, vista la vastità, si passa dai grattacieli in stile anni trenta della down Town a quelli ultramoderni della city, da sobborghi mal messi a zone semi industriali, vediamo salire e scendere persone di ogni tipo, con caratteristiche tra le più bizzarre, di ogni etnia e di ogni ceto sociale (almeno sembra), la nostra curiosità non viene mai appagata del tutto e si potrebbe realizzare un intero libro di sketches dalle fisionomie che incontriamo.
Per una curiosa ragione del destino, dopo avere attraversato in tutta la sua lunghezza Venice, ci imbattiamo nel Widham, il nostro albergo infatti è pressoché di fronte alla fermata del bus, e poco prima di fare l'accettazione ci ricongiungiamo con l'unico quarto della società ancora non unitosi con il resto del gruppo in terra statunitense: Lucone.
Andiamo a mangiare in un locale sulla strada, dove catturiamo una connessione ad un locale adiacente e ci sbofonchiamo avidamente il nostro pasto.
Poi via alla ricerca di un posto dove Luca era già stato e che voleva assolutamente farci conoscere, abbiamo scoperto essere la Third Avenue, una strada chiusa al traffico e adibita a centro commerciale, con piante, fontane a forma di dinosauri e negozi di ogni tipo, stile Rodeo Drive.




La Union Station di San Diego.




Santa Monica ed il suo pier.





La Third Avenue, con fontane a forma di dinosauro, interamente pedonale ed a vocazione commerciale, propone artisti di strada di grande talento.

La cosa che colpisce subito però sono gli artisti ambulanti, cantanti e musicisti bravissimi che sembrano professionisti prestati alla strada.
Un cantautore dalla voce triste che canta ballate amare, un cantante folk dalla voce misurata e dal timbro pastoso che canta repertori vicini a Bob Dylan, cantanti che intonano interpretandoli brani di successi attuali, un musicista che modifica e meticcia col jazz canzoni dei Coldplay con il suo violino, una sequela di talenti che ti rapiscono e che ti impongono la loro attenzione.
Una filosofia di vita, un modo di essere tipicamente americano, la voglia di provarci, quella di mettersi in gioco e mostrare senza pudore ma con l'intento di valorizzare il proprio talento, anche perché non sai mai chi può passare di lì, chi può ascoltarti e, forse, cambiarti la vita, in America può succedere e la cosa incredibile è che sembra esistere una specie di selezione naturale, non esiste spazio per gli improvvisatori, per gli strimpellatori della domenica, o sei bravo o non hai spazi da occupare.
Un'idea forse anche spietata ma che rappresenta l'eccellenza americana, il motivo del successo di una nazione, il suo modo di essere e di valutare sè stessa e i propri cittadini, per i bravi ci sono spazi ed opportunità per gli altri soltanto la speranza di migliorarsi, altrimenti l'oblio.


Poi facciamo un salto sul molo prospiciente la splendida passeggiata, decorata dalle palme altissime che sono il "fil rouge" di tutta la città, una vera cifra stilistica che ne connota la personalità, è ampio e spazioso e oltre che negozi di gadget su abbigliamento e ristoranti vari tra cui un "Bubba Shrimps" il negozio di Bubba, l'amico di Forrest Gump che muore in Vietnam e al quale viene dato, in suo onore, il nome alla società di pesca dei gamberi con il quale farà fortuna. Lo sfruttamento di un personaggio di finzione, altra idea per niente idiota, ma che può prendere vita soltanto qui, un negozio di gadgets, felpe e t-shirt, che si trasforma nel retro, in un ristorante con specialità marinare. E poi ancora ristoranti e negozi, un luna Park con rollercoaster, montagne russe non altissime ma di sicuro pregio ed un punto in cui si può leggere la storia del molto, costruito tra il 1909 ed il 1919, punto cruciale di una città in espansione, molo sul quale intorno agli anni '30 viene costruita una sala da ballo imponente, insomma, una cosa curiosa ma al tempo stesso interessante.
In cima al molo decine di pescatori, nella gelida aria della sera, rinfrescata da un insistente vento, si danno da fare tra esche ed ami, cullati dalla voce di una cantante dalle sonorità soul e da una voce incredibile, con modulazioni di timbro degne di una cantante jazz, è carina e dall'aspetto abbastanza dimesso, ma se è lei quella della foto ritratta nella copertina del CD che puoi acquistare, in quella situazione è bellissima.
Come prima, si rimane incantati ad ascoltare personaggi che sembrano sbarcati lì per caso e muniti di un amplificatore trainato con un carrello, che ci sbattono in faccia tutto il loro talento, con una noncuranza imbarazzante, e sopratutto, imbarazzati dal pensiero che solo a quel modo, cioè per strada, riescono a dimostrare ciò che sono.
Torniamo sui nostri passi, alla ricerca di un ristorante messicano che avevamo visto precedentemente, lo troviamo e ci accorgiamo che, per la seconda volta in un giorno siamo stati fortunati nelle nostre scelte, l'enchilada che ho scelto è gustosa e la birra messicana XX si lascia bere che è una bellezza, ripuliamo tutto, ma questa oramai non è una novità.

L'ho già detto, seduti ad un tavolo noi sappiamo sempre fare la nostra bella figura.

29 Luglio, martedì.

Cambio di hotel, ci spostiamo da Santa Monica a Beverly Hills, uno spostamento meno strategico di quello che sembra, oramai siamo in cinque e non possiamo più spostarci con taxi normali, men che meno con le valige, abbiamo bisogno di un Van.
Arriviamo al Crowne Plaza di Beverly Hills, le strade che attraversiamo sono diverse, le palme sempre altissime guarniscono ai lati le strade come sentinelle ineludibili, siamo vicini agli studi della Fox, qui si respira aria di cinema da ogni parte.
Dopo un normale check-in e il deposito delle valige, abbiamo una io di ore da utilizzare prima di un pranzo con i prossimi ospiti di Nemoland, perciò ci facciamo portare al Chinese Theatre, Hollywood ci attende e non possiamo deluderla.
Usciamo dal veicolo calpestando il marciapiede pieno di stelle, ma poi attraversiamo la strada e ci troviamo nello spazio antistante al teatro, quello per intenderci, con le impronte delle mani e dei piedi dei divi, e li ci perdiamo...




Il Chinese Theatre e la Walk of Fame, Hollywood ed il suo cinema nella loro massima espressione.

Non è una novità affermare che il nostro immaginario è stato subaffittato da decenni all'America che lo ha condizionato in tutte le sue sfaccettature, e la risposta è nella frenesia che ci assale trovandosi di fronte alle impronte dei divi più famosi, e intendo semplicemente impronte su una lastra di cemento di umani che si sono trasformati in divi, e quindi sono diventati le nostre proiezioni interiori, i nostri modelli di riferimento, anche per noi europei che, a dire la verità, dovremmo avere i nostri, ma che per colonizzazione coatta abbiamo abbandonati dimenticandocene per prenderne altri in adozione.
Ma quei reperti di archeologia filmica, rappresentano tutte le declinazioni della nostra fantasia, tutti gli archetipi immaginati del nostro fantastico, in poche parole: tutti i nostri sogni.
La nostra fanciullezza si risveglia e ci facciamo fotografare vicini ai residui immortali di persone che hanno lasciato un segno indelebile del loro passaggio su celluloide, disposti in modo casuale e con un criterio difficile da individuare, accanto ad attori di prima grandezza, c'è ne sono altri minori che non capiamo perché siano lì, non che la cosa abbia importanza, ma nella futilità dell'occasione e l'assoluta irrilevanza del fatto, anche una domanda così risibile diventa legittima.
Poi ci spostiamo tra un sosia di Michael Jackson, quello di Samuel Jackson ed un Uomo Ragno, verso Dolby Theatre, proprio lì accanto, lo spazio adibito alla serata finale dell'assegnazione degli Oscar, dove su ogni colonna ci sono i titoli dei migliori film che hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento in una galleria di immagini che si rimettono in moto vedendole nuovamente alla lettura di ogni titolo, dopo le foto di rito, sulle scale, in pose ridicole o impostate, in un gioco che rivela tutto il nostro dichiarato infantilismo, scopriamo che gli spazi sono disponibili fino al 2071, poi si vedrà, intanto arriviamoci.
Io e Luca, cosa che denota una certa vetustà, abbiamo preferenze che vanno da Clark Gable a Humprey Bogart, Jack Nicholson e Fred Astaire e la sua Ginger Rogers, ma non posso rinunciare a De Niro e Al Pacino, ma il clou è quando scopro Clint Eastwood, prima eroe western dello spaghetto western, poi maestro indiscusso dalla regia e mito inarrivabile, e non posso rinunciare a infilare le mie mani nelle sue impronte...siamo tornati bambini, facciamo perfino tenerezza.






Impronte e stelle di divi sul marciapiede, ci perdiamo come bambini intorno ai loro balocchi, siamo quasi teneri nella nostra totale innocenza.

A pranzo verso Caghuia abbiamo l'appuntamento con Andreas Deja e Theodore Thomas, prossimi invitati di Nemoland, insieme troviamo Fabrizio Mancinelli, simpatico musicista che vive da anni in America e collabora con Deja su un suo cortometraggio, il pranzo scorre sui binari della bonomia e le ore trascorse insieme passano amichevolmente, i nostri nuovi amici sono anche così gentili da accompagnarci agli Studi Universal, penultimo appuntamento della giornata e momento di relax di una vacanza che, almeno fino ad ora, è stato molto più un viaggio di lavoro che puro divertimento.




La Nemo a pranzo con Theodore Thomas, Andreas Deja e Fabrizio Mancinelli in un ristorante di Caghuia, Los Angeles.

Non abbiamo molto tempo, in realtà, perché la sera abbiamo una cena con uno degli ospiti di una passata Nemoland, Robin Lynn che ci attende sulle coste di Santa Monica.
Agli Studios ci possiamo permettere solo il Tour, Transformers 4 in 3D, e Shrek, scelto solo perché aveva poca coda.
Il tour, anche se con attrazioni diverse, l'avevo fatto quasi trent'anni fa, la sorpresa, se così si può dire è stato il viaggio in realtà tridimensionale è stato fatto con Transformers, immersi in una guerra tra giganti, trasportati tra i palazzi di New York in distruzione, inseguimenti mozzafiato e cadute libere da grattacieli vertiginosi con rumori e coinvolgimenti reali. Un modo, anche qui, per tornare bambini con le emozioni che vincono sulla razionalità. Intorno a noi un mondo che si diverte senza freni, abbandona i problemi fuori dal parco e si immerge in quello che gli americani sono bravissimi a ricreare, la finzione funzionale al divertimento, e la loro capacità di trasformare in business ogni loro idea, ogni loro potenziale occasione, ogni loro prodotto.


Credo che, ragionando di questo, la nostra mentalità europea spesso faccia fatica a confrontarsi con l'universo americano proprio nelle sue fondamenta, perché i parametri di comparazione sono diversi, le nostre origini diverse, ma sopratutto gli obbiettivi finali estremamente distanti, sono due mondi che si incontrano solo in alcuni punti ma che hanno poche parentele in comune. Loro pensano al business, al profitto finale che è unico metro di paragone del successo e della bontà della loro opera, il suggello terminale alle loro scelte ed alle loro motivazioni, tutto il resto è conseguente e non necessariamente ricercato, noi invece pensiamo all'artisticità, al rapporto con la cultura ed il valore intrinseco dell'opera, cosa diranno di noi per averlo fatto, come ci criticheranno o penseranno delle nostre idee e, talvolta, il successo commerciale viene punito con lo snobismo della critica e la messa da parte "dell'intellighentia" che conta, sempre pronta a criticare chi, oscenamente, monetizza con il proprio successo.
Ma quando visitiamo i loro parchi diventiamo tutti bambini, vuoi perché il nostro immaginario è stato costruito da loro, vuoi perché in questo non hanno niente da imparare da nessuno, costruiscono nella realtà ciò che hanno già fatto nella nostra immaginazione e molti di quei padri che accompagnano i loro figli a divertirsi, in realtà non solo sono felici di farlo perché saranno i primi a divertirsi, ma rimpiangeranno proprio come loro, quando non avranno più scuse per andarci da soli.
Noi non ci siamo creati problemi e ci siamo messi i nostri vestiti più infantili, e siamo entrati.


La sera al Killer Shrimps, un ristorante a Santa Monica per mangiare una zuppa fatta di gamberi con questa salsa "assassina" perché molto piccante, che ci ha infiammati un po' tutti e sorseggiando un vino bianco probabilmente californiano da un retrogusto particolare ma per niente disprezzabile, ascoltando con invidia il nuovo lavoro di Robin, adesso collaboratore in produzione per ben 18 film, di cui due con Spielberg (di cui non ci ha potuto dire niente), il secondo degli Avengers con la produzione di J.J. Abrahams e la direzione di Williams, abbiamo così trascorso una serata piacevole in un bel locale adiacente ad un porticciolo illuminato.

30 Luglio. mercoledì.

Mattina relativamente tranquilla, abbiamo dei buoni margini di tolleranza senza dover fare alzate garibaldine, abbiamo un appuntamento in Dreamworks in tarda mattinata e possiamo, in teoria, dormire di più.
Con il solito Van ci facciamo portare in Dreamworks dove abbiamo un appuntamento con un paio di personaggi conosciuti in altre occasioni, attraversiamo Beverly Hills nelle sue splendide strade circondate da palme altissime che sembrano piegarsi al primo vento, poi prendiamo per San Fernando Valley e tocchiamo la famosa Mulholland Drive per arrivare agli studi Dreamworks, sulle colline, dopo essere passati di fronte alle ville (ma direi che abbiamo soltanto visto l'ingresso di queste), il conducente conosce l'ubicazione di alcune ville di attori famosi e decidiamo di fermarci in una piazzola dove si domina la vallata! qui ci indica quella di Stallone e Jack Nicholson e noi, come provetti paparazzi ammaestrati, diamo fuoco alle nostre fotocamere per immortalare delle ville in lontananza neanche fossero ruderi millenari carichi di storia.




Le ville di Nicholson e Stallone tra Mulholland Drive e la San Fernando Valley.

Per tutto vale il discorso fatto ieri.
Arriviamo in Dreamworks e, dopo un giro convenzionale con una addetta alle PR, troviamo Cristophe Lautrette che ci fa fare un giro all'interno della struttura spiegando e i meccanismi e le dislocazioni produttive poi, all'ora di pranzo ci vediamo con Cristophe Serrand, direttore dell'Animazione che pranza direttamente con noi.
Nel pomeriggio andiamo agli studi Disney dove abbiamo avuto un appuntamento con una recruiter che Francesco ha conosciuto ad Annecy, anche questa ci fa fare un giro piuttosto convenzionale e ci mostra gli studi, i characters e molte illustrazioni riguardante il prossimo lungometraggio, all'uscita, decidiamo di contattare Howard Green, un personaggio suggeritoci da Mancinelli il
giorno prima, forse non avevamo capito bene o forse ci era sfuggito un po' a tutti, ma quando ci è venuto incontro alla reception questa bonaria figura dalla voce profonda e dall'aria simpatica, non avevamo idea che stavamo per conoscere il vicepresidente della Disney stessa, che con una disponibilità incredibile ci ha portato nel suo studio dove si è fermato a fare quattro chiacchiere con noi. Io ho avuto anche il modo di donargli il mio Mara Brizo con una dedica espressa che, pare, abbia gradito e, come tutte le persone di mondo e con grande senso dell'ospitalità.








Immagini dalla Dreamworks, la Nemo in posa con il gentile Cristophe Lautrette che ci ha accompagnato all'interno della struttura.




Disney Animation Studios.

Che dire, entrambi gli studio, con le dovute differenze di stile, Dreamworks con uno stile architettonico dalle caratteristiche latine, e Disney con ambienti ed arredamenti che ricordavano gli anni '50, lasciano intendere la loro filosofia lavorativa, che quella in cui il calore, la familiarità, la tranquillità e il senso di calma da centro New age devono agevolare artisti che fanno della loro creatività non solo la forza propulsiva e produttrice dell'azienda, ma hanno bisogno di ambienti che stimolino la loro parte migliore e, per questo, l'ambiente di lavoro cerca di creare le condizioni migliori per ottenerlo, un modello lavorativo esportabile ovunque è non solo da tenere in considerazione per lavori creativi e con valore artistici.
Gli uffici sono come stanze di case, dove si respira un'aria familiare, con arredamenti caldi e confortevoli e spesso personalizzati con oggettistica e mobili personali, le luci sono basse e confidenziali, vivono in un ambiente che non ha niente di stressante e nulla che ricordi un qualsiasi altro ufficio o ambiente di lavoro, gli spazi comuni sono simpatici e pieni di giochi, di colori e lo stadio avanzamento di lavori, ad esempio in Disney è esposto all'esterno dei relativi uffici dando ai corridoi un aspetto giocoso e divertente.
Dove di producono idee è giusto mantenere un clima rilassato per facilitarne la nascita e il tutto deve essere percepito non come un lavoro ma come uno spazio che serve per agevolarne la formazione.




La Nemo insieme alla famiglia di Stephen Silver al ristorante Islands di Santa Monica.

Poi visita alla scuola di Stephen Silver, in uno splendido open space con molti disegni attaccati alle pareti, uno spazio con "palcoscenico" per le sessioni di disegno dal vero ed anatomia e con lui ed Heidi abbiamo conversato amabilmente fino all'ora di cena, poi da Islands, un locale in stile hawaiano per mangiare hamburger all'americana, come da nostra richiesta e loro suggerimento, dove ci è stato servito un enorme panino guarnito da patatine e l'immancabile ketchup e anelli fritti di cipolla, forse neanche adesso, già svegli per la partenza verso San Francisco li abbiamo digeriti, ma lo abbiamo voluto noi è ci sentiamo un po' più americani.

Ma a tutt'oggi ci stiamo domandando quando davvero andremo in ferie, perché fino ad ora questa non sembra davvero una vacanza...

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