Per i pasdaran che non ancora stanchi dell'intervista "fiume" realizzata per il magazine dell'ANAFI, "il Fumetto", ecco la seconda parte dell'intervista:
Parliamo
adesso della saga Hasta la Victoria!
I quattro volumi in versione francese, il tributo è di merito poiché la produzione è frutto degli sforzi delle Editions Mosquito.
Cosa
ti ha stimolato a creare questa storia su Cuba e la Rivoluzione?
Ho
già raccontato l’episodio: ero sulla Modena-Brennero in direzione
Dolomiti per una vacanza estiva, sosta ad un area di servizio, cesta
di libri a metà prezzo, il libro s’intitola “Palmeiras de
sangre” di Reinaldo Lugo, l’ho visto, l’ho acquistato e l’ho
letto oltre un anno dopo (come vedi non mi smentisco), ma nel momento
dell’acquisto e dalla visione della semplice copertina è scattata
la molla: Rivoluzione Cubana.
Per
tutta la vacanza, all’insaputa di mia moglie, non ho pensato ad
altro.
Cosa ti proponevi di trasmettere al lettore con questo lavoro?
Devo
farti una confessione, non so quanto segreta, di sicuro poco
edificante e molto egoistica, io credo che un autore debba scrivere
per sé stesso, e solo secondariamente, se il suo sentire entra in
collisione con quello del lettore, scaturisce la vera alchimia che si
trasforma in qualcosa di speciale che è la condivisione dell’opera.
Io
pertanto non avevo nessuna velleità di trasmettere niente al
lettore, se non avere la speranza che quello che al momento mi stava
interessando, interessi anche a lui.
Ho
scritto “Hasta la victoria!” per me, per saperne un po’ di più,
perché quella rivoluzione ha scatenato in me una curiosità enorme
su una vicenda storica molto parlata ma di cui, alla fine, non se ne
sa molto e per moltissimi motivi, non ultimi quelli politici. Una
rivoluzione che ha creato miti e leggende su personaggi che hanno
identificato ideali ed un periodo della nostra storia contemporanea,
ha cambiato il mondo ed aiutato i paesi dell’america-latina a
ritrovare la propria dignità e lottare per affermare la propria
indipendenza attraverso quel modello di resistenza politica, una
rivoluzione che, per quanto millantata, non mi sembrava, almeno fino
a quel momento, rappresentata in modo esaustivo nel fumetto.
Per
tutto questo ho cercato di farlo io, nel modo che mi sembrava più
giusto e più divertente, almeno per quello che è il mio concetto di
divertimento, e cioè integrando verità storiche e fiction in un
amalgama che rendessero credibili ed interessanti anche le
vicissitudini dei personaggi di fantasia.
Quando hai iniziato a lavorarci, non eri mai stato fisicamente a
Cuba. Su che tipo di documentazione (credo ti sia stato d'aiuto
Internet, filmati, libri, ecc.) hai basato, quindi, la costruzione
della trama?
La
trama con cui si dipana la rivoluzione, almeno dal punto di vista
cronologico, è relativamente semplice perché scorre su binari di
progressiva linearità, altro è stato entrare nelle atmosfere del
periodo, attraverso le vicende storiche e la conoscenza dei
personaggi. Oltre a molta documentazione su internet ho letto due
biografie di Che Guevara, quella di Anderson e quella di Paco Taibo
II e varia documentazione.
Poi,
ci sei andato a Cuba. Come sei stato accolto?. Hai trovato, nella
realtà, rispondenze con l'ambientazione, i luoghi, le atmosfere, i
paesaggi, la gente e via dicendo con la trama della tua storia?
I
popoli caraibici sono molto ospitali, ed entrare in sintonia con loro
non è un problema, poi a L’Avana ho conosciuto due giornaliste
italiane che da anni vivono nella capitale come corrispondenti.
Una:
Gioia Minuti, curatrice della versione italiana di Grandma
International (organo ufficiale del partito comunista cubano) e
l’altra, la simpatica Ida Garberi, corrispondente di Cuba Debate e
Prensa Latina, l’agenzia fondata da Masetti e dal Che, poi Miguel
Mejides, uno scrittore corrispondente dell’ARCI e responsabile
dell’ICAIC, e poi molti altri personaggi incontrati durante il
viaggio attraverso il quale mi sono fatto un’idea, o almeno mi
piace crederlo, di quello che forse era la Cuba della fine degli anni
’50.
E’
stato bellissimo, uno dei più bei viaggi che ho fatto in vita mia.
Oltre
che in molti altri paesi, Hasta la Victoria! ha visto la luce anche
a Cuba pubblicata dalle Ediciones Cubanas della Artex. Come hai
trovato la versione cubana dal punto di vista della qualità
editoriale rispetto all'originale? Sei rimasto soddisfatto o deluso?
Deluso
sarebbe ingiusto, perché mi aspettavo qualcosa del genere, devi
pensare che Cuba ha parametri completamente diversi dai nostri, la
qualità di ogni cosa ha standard assolutamente inferiori, non hanno
materie prime o tecnologie, molte cose risultano complicate da
realizzare e la qualità della stampa è tra queste.
Gli
albi sono a colori, stampati su carta piuttosto dozzinale e spillati,
diciamo si avvicinano ai nostri albi degli anni ’60, ma la stampa
forse è peggiore, a volte salta anche una pellicola e la pagina si
tinge di un unico colore.
Ma
ci sono, mi sembra già un bel risultato essere stampato e
distribuito a Cuba, per cui non mi sono messo a fare capricci da
prima donna, non è mia abitudine.
Sai
che tipo di reazione c'è stata tra i lettori cubani nel leggere il
tuo lavoro? È stato accettato in toto la trama del tuo lavoro o ci
sono stati dei dissensi?
La
reazione dei lettori non la conosco, l’albo è stato presentato lo
scorso Febbraio alla Feira del libro de L’Avana e non ho ancora
nessun riscontro, anche se non ho capito bene neanche come viene
distribuito. La reazione che ho percepito è quella di Miguel
Mejides, uno scrittore che lesse per primo il volume ed è
riassumibile nell’affermazione che mi fece: “Dal punto di vista
storico è perfetta!”, e detto da un cubano sulla “sua”
rivoluzione è tutto dire.
Nero
Maccanti, il protagonista della saga, ha qualche riferimento preciso
nella realtà o e frutto solo della tua fantasia?
No,
è completamente frutto della mia fantasia.
Ti
anticipo che molti lettori lo hanno avvicinato a Corto Maltese, ma a
parte la comunanza con il mestiere (il marinaio) e un certo spirito
avventuroso, sono personaggi distanti tra loro non solo a livello
temporale, semmai il suo essere livornese può avvicinare il suo
spirito al mio, ma sono considerazioni fatte a posteriori.
Credo
tu sia l'unico italiano ad essere stato pubblicato a Cuba. Che
effetto ti fa tutto questo?
Intendi
come fumettista credo, altri scrittori so che vengono pubblicati.
E’
una cosa abbastanza strana, oggi è difficile essere il primo o
l’unico a fare una certa cosa e sinceramente non ci sono abituato,
e a dire la verità non mi pongo neanche il problema, mi fa molto più
piacere avere raccontato la rivoluzione cubana come un opera di
intrattenimento senza passare forzatamente dall’agiografia o la
biografia dei personaggi che l’hanno vissuta, privilegiando
l’aspetto avventuroso oltre che il rispetto di certe verità
storiche, se ci sono riuscito, è questo che mi rende orgoglioso.
Passiamo
all'altro tuo graphic novel e cioè "Di altre storie e di altri
eroi". È indubbio che si tratti di un'opera autobiografica con
riscontri culturali, storici e sociali filtrati attraverso momenti
legati a fatti drammatici e umani che, in qualche maniera, fanno
parte del tuo passato. Per cui, ti chiedo:
Perché
hai dato questo titolo alla storia e qual è il suo significato?
Non
la definirei autobiografica nel senso stretto del termine, non
racconto la mia vita e non era quello l’intento, il personaggio del
bambino (che sarei io) serve a descrivere altri personaggi (molto più
interessanti del sottoscritto) perché certe considerazioni non
potevano essere contestualizzate se non descrivendo il rapporto del
suo immaginario infantile con quello del relativo periodo storico.
Il
titolo è la presa di distanza dagli eroi comuni, quelli di carta, i
tutori della legge, quelli che indossano costumi variopinti, che
hanno sempre una pistola al loro fianco e disposti a risolvere le
beghe con un pugno, un atto dovuto verso le persone vere, quelle che
si sentono passare la storia vicina senza magari percepirne
l’importanza, quelle che hanno paura, che si emozionano e che
vivono vite semplici ma sincere.
La versione francese del libro, anch'essa sempre di produzione ad opera della Mosquito Editions.
La versione francese del libro, anch'essa sempre di produzione ad opera della Mosquito Editions.
La copertina del volume nella versione italiana, edita da Tunuè.
Da
dove ti sono arrivati gli stimoli - visto che tu non hai potuto
vivere in diretta quei precisi fatti, essendo nato nel 1958 - per
raccontare questo tipo di storia?
Dalle
narrazioni orali raccontate nei dopocena dagli zii che vivevano in
campagna, esattamente come racconto nel libro. Leggendo storie di
guerra a fumetti, vedendo film che raccontavano di sbarchi in
Normandia e assalti ad Iwo Jima e, giocando con mitra, pistole e
soldatini, l’immaginario dei bambini di quel periodo era tutto
guerresco, fatto di marines e truppe da sbarco, di Royal Navy e
Wermacht, per cui ogni cosa che poteva fare riferimento a tutto
questo, catturava la nostra attenzione in modo coinvolgente.
Ma
lo stimolo che mi ha spinto a scriverla è stato il tentativo che
certi racconti, le emozioni e la vita di quelle persone non andasse
perduta nell’oblio, l’esigenza, come scrivo nelle dediche
iniziali, “di raccontare ai miei figli chi sono e da dove
provengono”, anche qui, nell’egoismo che oramai sappiamo
contraddistingue i miei lavori, è stato realizzato per me, per la
mia famiglia, con l’idea che certe esperienze non rimanessero
soltanto nei ricordi di chi le aveva vissute personalmente, ma che
avessero l’opportunità di essere condivise.
Possiamo
dire che questa tua opera ha una netta posizione revisionistica,
visto come affronti la realtà tra vinti e vincitori, con i primi
riabilitati e i secondi un po' snobbati?. Insomma, una sorta di
riproposizione di ciò che è successo con i nativi d'America che
fino a pochi anni fa, erano visti come "il male del mondo"
fino a quando non sono venute a galla le verità?
No,
non c’è nessuna volontà revisionistica, semmai c’è la comodità
di “leggere la storia” a distanza di anni e, avendo metabolizzato
moltissime informazioni, abbiamo la possibilità di valutare certi
periodi storici con una saggezza diversa, ma i buoni restano buoni e
i cattivi restano tali. Tuttavia, dai racconti che mi venivano fatti
e non avendo avuto esperienze drammatiche personali, i tedeschi in
certe circostanze erano visti come un esercito in fuga, sconfitto e i
volti dei loro soldati, visti come quelli di qualunque ragazzo di
pari età, muovevano la compassione di chi li vedeva con gli occhi
ignari di ciò che in altre circostanze questi avevano commesso, come
l’essere artefici di eccidi e massacri. Ma è con l’ingenuità
mossa dalla compassione che io li ho descritti nel libro, e mi piace
avere sottolineato quella sincera umanità lasciandola immutata come
nelle loro descrizioni.
Questo
atteggiamento "di parte" che evidenzi abbastanza
nettamente in questo lavoro, pensi possa aver provocato in qualcuno
un certo risentimento?
Non
direi proprio, e lo sta a dimostrare la mostra che è stata
organizzata dall’ISGREC (Istituto
Storico Grossetano per gli studi sulla Resistenza e dell'Età
Contemporanea)
e
patrocinata dal Comune di Grosseto, segno evidente che la lettura
dell’opera riesce a contestualizzare perfettamente questo tipo di
passaggi.
Altre
sono le considerazioni fatte, ad esempio sugli americani, in cui ho
voluto sottolineare quanto, di tutta l’abbondanza e la ricchezza
che distribuivano con la generosità dei ricchi, ha condizionato in
seguito non solo la nostra vita, ma l’intera società, i nostri
modi di pensare e di quanto, in quell’atteggiamento di sincera
generosità, ci fossero tutti i sintomi di quei cambiamenti radicali
che sarebbero avvenuti successivamente. Ma questo non è essere “di
parte”, l’invasione del consumismo, il successivo benessere e
tutte le relative considerazioni sono fatte non con lo spirito del
contestatore, bensì con la consapevolezza di chi può analizzare la
storia da una distanza temporale che permette certe comode ed
inevitabili osservazioni.
Due momenti della mostra organizzata dall'ISGREC di Grosseto.
Per
la caratterizzazione dei vari personaggi ti sei rifatto ad una
iconografia preesistente o sulla base di ricordi e trasmissioni
orali?
Ricordo
che le storie sono tutte vere e realmente accadute ed i nomi sono
quelli dei protagonisti che le hanno vissute, per i volti delle
persone di cui ricordavo le fattezze, sono andato rigorosamente a
memoria, mentre per le altre solo di alcuni sono andato a cercare le
foto pur mantenendo una certa distanza da queste.
Se
dovessi rifarla questa storia, come si dice "col senno di poi",
cambieresti qualcosa oppure no?
Non
ho mai questo tipo di ripensamenti.
Ogni
storia è il frutto di un determinato periodo, le implicazioni sono e
devono essere legate da un contesto specifico che è quello della sua
realizzazione, serve a poco pensare cosa avrei fatto SE…
Anche
perché sono le mie storie che decidono quando essere realizzate,
questa ad esempio era ferma da oltre due anni, segno evidente che, se
scelgono il tempo della loro realizzazione, tra tutte le scelte,
quella deve per forza essere la migliore, e con tutte le implicazioni
del caso, ed è quindi inutile recriminare.
Secondo te, che tipo di risposta ha avuto sul mercato?
Nell’ottica
attuale del rapporto vendita e distribuzione, e tieni presente che è
stato distribuito anche in allegato con il Tirreno (un quotidiano
locale della provincia di Livorno) anche se solo per il territorio
provinciale, direi più che buono, ma ancora non ho dati definitivi
sulle librerie.
Dal
punto di vista del giudizio del pubblico direi emozionante ed
entusiasta, non avrei mai immaginato che un libro così personale
avrebbe destato tanto interesse e tanta condivisione con chi lo ha
letto, una vera sorpresa, ed in certi casi perfino imbarazzante.
Mi
fa piacere segnalarti, ma è un tributo doveroso alla Mosquito
Editions, che ci ha creduto, lo ha prodotto e pubblicato
direttamente per la Francia con il titolo “Fragments –Histoires
vécues des héros ordinaires-“, che il mensile “Casemate”, una
rivista di critica e promozione di BD, forse la più importante del
mercato francese, gli ha dedicato ben sei pagine oltre che essere
stato molto apprezzato.
L'intera pagina pubblicitaria che il quotidiano "il Tirreno" ha dedicato, per settimane, all'uscita del libro in allegato al giornale.
Tra
tutte le storie fino adesso realizzate, qual è quella di cui vai più
orgoglioso e perché? C'è qualcosa che hai fatto di cui ti penti e
qualcosa che non hai fatto e desidereresti farla?
R: Come
ho già detto, non sono uno che ha ripensamenti, non servono a molto,
solo ad avere dei rimpianti su cose che non si possono più
modificare, e non amo neanche fare delle classifiche di merito, sono
tutti figli miei, non ho preferenze, ognuno di loro rappresenta un
momento specifico della mia vita, ce ne sono alcuni meglio riusciti
ed altri meno, ma chi se ne frega, è un po’ come quando ascolti
una canzone che magari non è neanche un gran che, ma ti ricorda un
momento della tua vita preciso e solo quella canzone può
ricordartelo, ma questo valore evocativo non ha nessun legame con la
qualità della canzone stessa, è l’emozione quella che conta.
Ringraziandoti
per la pazienza e la disponibilità che mi hai dimostrato, per
concludere vorrei chiederti: i tuoi ultimi lavori per Bonelli
risalgono, ormai, ad un paio d'anni fa con un Maxi Nathan Never e un
Dampyr. A quando il tuo ritorno a casa Bonelli e cosa c'è nei tuoi
programmi futuri? (qui puoi parlare anche dei tuoi impegni con la
Scuola di Fumetto)
R: Negli
ultimi dieci anni mi si sono moltiplicati gli impegni, dalla
fondazione dell’Accademia Nemo (oggi Nemo Academy, visto il respiro
internazionale che comincia ad avere) che è cresciuta in
progressione geometrica, sono aumentati gli alunni e le ore di
lezione, oltre che i coinvolgimenti con la nostra manifestazione
Nemoland, e certi miei spazi si sono un po’ ridotti, anche perché
è aumentata l’area d’interesse del mercato a cui mi rivolgo,
prima era soltanto la Sergio Bonelli Editore, adesso sono anche le
case editrici francesi e quindi qualcosa è rimasto più sacrificato
di altri.
Ma
la mia collaborazione con Bonelli non è mai venuta meno (ti rammento
anche il romanzo a fumetti con Paola Barbato “Sighma”), ho
iniziato anni fa una storia di Michele Medda che nel tempo si è
trasformata in uno speciale ma, anche per i vari impegni di Michele,
abbiamo dovuto lasciare in sospeso, al punto che successivamente mi
sono messo a lavoro su una storia di Mirco Perniola dal titolo
provvisorio “Spionaggio industriale” che conto di terminare entro
l’estate.
Proprio
pochi giorni fa, annunciando il mio ritorno sulle pagine di Nathan su
un social network, ho visto il riaccendersi di un entusiasmo che mi
ha fatto davvero molto bene, fa piacere constatare che quanto si è
fatto ha lasciato, nel suo piccolo, un segno del tuo passaggio.
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