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10 marzo 2014

Intervista alla rivista "il Fumetto" parte 2a

Per i pasdaran che non ancora stanchi dell'intervista "fiume" realizzata per il magazine dell'ANAFI, "il Fumetto", ecco la seconda parte dell'intervista: 


Parliamo adesso della saga Hasta la Victoria!


I quattro volumi in versione francese, il tributo è di merito poiché la produzione è frutto degli sforzi delle Editions Mosquito. 

Cosa ti ha stimolato a creare questa storia su Cuba e la                 Rivoluzione?

Ho già raccontato l’episodio: ero sulla Modena-Brennero in direzione Dolomiti per una vacanza estiva, sosta ad un area di servizio, cesta di libri a metà prezzo, il libro s’intitola “Palmeiras de sangre” di Reinaldo Lugo, l’ho visto, l’ho acquistato e l’ho letto oltre un anno dopo (come vedi non mi smentisco), ma nel momento dell’acquisto e dalla visione della semplice copertina è scattata la molla: Rivoluzione Cubana.
Per tutta la vacanza, all’insaputa di mia moglie, non ho pensato ad altro.




Cosa ti proponevi di trasmettere al lettore con questo                   lavoro?

Devo farti una confessione, non so quanto segreta, di sicuro poco edificante e molto egoistica, io credo che un autore debba scrivere per sé stesso, e solo secondariamente, se il suo sentire entra in collisione con quello del lettore, scaturisce la vera alchimia che si trasforma in qualcosa di speciale che è la condivisione dell’opera.
Io pertanto non avevo nessuna velleità di trasmettere niente al lettore, se non avere la speranza che quello che al momento mi stava interessando, interessi anche a lui.
Ho scritto “Hasta la victoria!” per me, per saperne un po’ di più, perché quella rivoluzione ha scatenato in me una curiosità enorme su una vicenda storica molto parlata ma di cui, alla fine, non se ne sa molto e per moltissimi motivi, non ultimi quelli politici. Una rivoluzione che ha creato miti e leggende su personaggi che hanno identificato ideali ed un periodo della nostra storia contemporanea, ha cambiato il mondo ed aiutato i paesi dell’america-latina a ritrovare la propria dignità e lottare per affermare la propria indipendenza attraverso quel modello di resistenza politica, una rivoluzione che, per quanto millantata, non mi sembrava, almeno fino a quel momento, rappresentata in modo esaustivo nel fumetto.
Per tutto questo ho cercato di farlo io, nel modo che mi sembrava più giusto e più divertente, almeno per quello che è il mio concetto di divertimento, e cioè integrando verità storiche e fiction in un amalgama che rendessero credibili ed interessanti anche le vicissitudini dei personaggi di fantasia.


Quando hai iniziato a lavorarci, non eri mai stato fisicamente       a Cuba. Su che tipo di documentazione (credo ti sia stato             d'aiuto Internet, filmati, libri, ecc.) hai basato, quindi, la             costruzione della trama?

La trama con cui si dipana la rivoluzione, almeno dal punto di vista cronologico, è relativamente semplice perché scorre su binari di progressiva linearità, altro è stato entrare nelle atmosfere del periodo, attraverso le vicende storiche e la conoscenza dei personaggi. Oltre a molta documentazione su internet ho letto due biografie di Che Guevara, quella di Anderson e quella di Paco Taibo II e varia documentazione. 

Poi, ci sei andato a Cuba. Come sei stato accolto?. Hai trovato, nella realtà, rispondenze con l'ambientazione, i luoghi, le atmosfere, i paesaggi, la gente e via dicendo con la trama della tua storia?

I popoli caraibici sono molto ospitali, ed entrare in sintonia con loro non è un problema, poi a L’Avana ho conosciuto due giornaliste italiane che da anni vivono nella capitale come corrispondenti.
Una: Gioia Minuti, curatrice della versione italiana di Grandma International (organo ufficiale del partito comunista cubano) e l’altra, la simpatica Ida Garberi, corrispondente di Cuba Debate e Prensa Latina, l’agenzia fondata da Masetti e dal Che, poi Miguel Mejides, uno scrittore corrispondente dell’ARCI e responsabile dell’ICAIC, e poi molti altri personaggi incontrati durante il viaggio attraverso il quale mi sono fatto un’idea, o almeno mi piace crederlo, di quello che forse era la Cuba della fine degli anni ’50.
E’ stato bellissimo, uno dei più bei viaggi che ho fatto in vita mia.

Oltre che in molti altri paesi, Hasta la Victoria! ha visto la luce anche a Cuba pubblicata dalle Ediciones Cubanas della Artex. Come hai trovato la versione cubana dal punto di vista della qualità editoriale rispetto all'originale? Sei rimasto soddisfatto o deluso?

Deluso sarebbe ingiusto, perché mi aspettavo qualcosa del genere, devi pensare che Cuba ha parametri completamente diversi dai nostri, la qualità di ogni cosa ha standard assolutamente inferiori, non hanno materie prime o tecnologie, molte cose risultano complicate da realizzare e la qualità della stampa è tra queste.
Gli albi sono a colori, stampati su carta piuttosto dozzinale e spillati, diciamo si avvicinano ai nostri albi degli anni ’60, ma la stampa forse è peggiore, a volte salta anche una pellicola e la pagina si tinge di un unico colore.
Ma ci sono, mi sembra già un bel risultato essere stampato e distribuito a Cuba, per cui non mi sono messo a fare capricci da prima donna, non è mia abitudine.


Sai che tipo di reazione c'è stata tra i lettori cubani nel leggere il tuo lavoro? È stato accettato in toto la trama del tuo lavoro o ci sono stati dei dissensi?

La reazione dei lettori non la conosco, l’albo è stato presentato lo scorso Febbraio alla Feira del libro de L’Avana e non ho ancora nessun riscontro, anche se non ho capito bene neanche come viene distribuito. La reazione che ho percepito è quella di Miguel Mejides, uno scrittore che lesse per primo il volume ed è riassumibile nell’affermazione che mi fece: “Dal punto di vista storico è perfetta!”, e detto da un cubano sulla “sua” rivoluzione è tutto dire.

Nero Maccanti, il protagonista della saga, ha qualche riferimento preciso nella realtà o e frutto solo della tua fantasia?

No, è completamente frutto della mia fantasia.
Ti anticipo che molti lettori lo hanno avvicinato a Corto Maltese, ma a parte la comunanza con il mestiere (il marinaio) e un certo spirito avventuroso, sono personaggi distanti tra loro non solo a livello temporale, semmai il suo essere livornese può avvicinare il suo spirito al mio, ma sono considerazioni fatte a posteriori.




Credo tu sia l'unico italiano ad essere stato pubblicato a Cuba. Che effetto ti fa tutto questo?

Intendi come fumettista credo, altri scrittori so che vengono pubblicati.
E’ una cosa abbastanza strana, oggi è difficile essere il primo o l’unico a fare una certa cosa e sinceramente non ci sono abituato, e a dire la verità non mi pongo neanche il problema, mi fa molto più piacere avere raccontato la rivoluzione cubana come un opera di intrattenimento senza passare forzatamente dall’agiografia o la biografia dei personaggi che l’hanno vissuta, privilegiando l’aspetto avventuroso oltre che il rispetto di certe verità storiche, se ci sono riuscito, è questo che mi rende orgoglioso.

Passiamo all'altro tuo graphic novel e cioè "Di altre storie e di altri eroi". È indubbio che si tratti di un'opera autobiografica con riscontri culturali, storici e sociali filtrati attraverso momenti legati a fatti drammatici e umani che, in qualche maniera, fanno parte del tuo passato. Per cui, ti chiedo:

Perché hai dato questo titolo alla storia e qual è il suo significato?

Non la definirei autobiografica nel senso stretto del termine, non racconto la mia vita e non era quello l’intento, il personaggio del bambino (che sarei io) serve a descrivere altri personaggi (molto più interessanti del sottoscritto) perché certe considerazioni non potevano essere contestualizzate se non descrivendo il rapporto del suo immaginario infantile con quello del relativo periodo storico.
Il titolo è la presa di distanza dagli eroi comuni, quelli di carta, i tutori della legge, quelli che indossano costumi variopinti, che hanno sempre una pistola al loro fianco e disposti a risolvere le beghe con un pugno, un atto dovuto verso le persone vere, quelle che si sentono passare la storia vicina senza magari percepirne l’importanza, quelle che hanno paura, che si emozionano e che vivono vite semplici ma sincere.



La versione francese del libro, anch'essa sempre di produzione ad opera della Mosquito Editions.


La copertina del volume nella versione italiana, edita da Tunuè.

Da dove ti sono arrivati gli stimoli - visto che tu non hai potuto vivere in diretta quei precisi fatti, essendo nato nel 1958 - per raccontare questo tipo di storia?

Dalle narrazioni orali raccontate nei dopocena dagli zii che vivevano in campagna, esattamente come racconto nel libro. Leggendo storie di guerra a fumetti, vedendo film che raccontavano di sbarchi in Normandia e assalti ad Iwo Jima e, giocando con mitra, pistole e soldatini, l’immaginario dei bambini di quel periodo era tutto guerresco, fatto di marines e truppe da sbarco, di Royal Navy e Wermacht, per cui ogni cosa che poteva fare riferimento a tutto questo, catturava la nostra attenzione in modo coinvolgente.
Ma lo stimolo che mi ha spinto a scriverla è stato il tentativo che certi racconti, le emozioni e la vita di quelle persone non andasse perduta nell’oblio, l’esigenza, come scrivo nelle dediche iniziali, “di raccontare ai miei figli chi sono e da dove provengono”, anche qui, nell’egoismo che oramai sappiamo contraddistingue i miei lavori, è stato realizzato per me, per la mia famiglia, con l’idea che certe esperienze non rimanessero soltanto nei ricordi di chi le aveva vissute personalmente, ma che avessero l’opportunità di essere condivise.

Possiamo dire che questa tua opera ha una netta posizione revisionistica, visto come affronti la realtà tra vinti e vincitori, con i primi riabilitati e i secondi un po' snobbati?. Insomma, una sorta di riproposizione di ciò che è successo con i nativi d'America che fino a pochi anni fa, erano visti come "il male del mondo" fino a quando non sono venute a galla le verità?

No, non c’è nessuna volontà revisionistica, semmai c’è la comodità di “leggere la storia” a distanza di anni e, avendo metabolizzato moltissime informazioni, abbiamo la possibilità di valutare certi periodi storici con una saggezza diversa, ma i buoni restano buoni e i cattivi restano tali. Tuttavia, dai racconti che mi venivano fatti e non avendo avuto esperienze drammatiche personali, i tedeschi in certe circostanze erano visti come un esercito in fuga, sconfitto e i volti dei loro soldati, visti come quelli di qualunque ragazzo di pari età, muovevano la compassione di chi li vedeva con gli occhi ignari di ciò che in altre circostanze questi avevano commesso, come l’essere artefici di eccidi e massacri. Ma è con l’ingenuità mossa dalla compassione che io li ho descritti nel libro, e mi piace avere sottolineato quella sincera umanità lasciandola immutata come nelle loro descrizioni.



Questo atteggiamento "di parte" che evidenzi abbastanza nettamente in questo lavoro, pensi possa aver provocato in qualcuno un certo risentimento?

Non direi proprio, e lo sta a dimostrare la mostra che è stata organizzata dall’ISGREC (Istituto Storico Grossetano per gli studi sulla Resistenza e dell'Età Contemporanea) e patrocinata dal Comune di Grosseto, segno evidente che la lettura dell’opera riesce a contestualizzare perfettamente questo tipo di passaggi.
Altre sono le considerazioni fatte, ad esempio sugli americani, in cui ho voluto sottolineare quanto, di tutta l’abbondanza e la ricchezza che distribuivano con la generosità dei ricchi, ha condizionato in seguito non solo la nostra vita, ma l’intera società, i nostri modi di pensare e di quanto, in quell’atteggiamento di sincera generosità, ci fossero tutti i sintomi di quei cambiamenti radicali che sarebbero avvenuti successivamente. Ma questo non è essere “di parte”, l’invasione del consumismo, il successivo benessere e tutte le relative considerazioni sono fatte non con lo spirito del contestatore, bensì con la consapevolezza di chi può analizzare la storia da una distanza temporale che permette certe comode ed inevitabili osservazioni.




Due momenti della mostra organizzata dall'ISGREC di Grosseto.

Per la caratterizzazione dei vari personaggi ti sei rifatto ad una iconografia preesistente o sulla base di ricordi e trasmissioni orali?

Ricordo che le storie sono tutte vere e realmente accadute ed i nomi sono quelli dei protagonisti che le hanno vissute, per i volti delle persone di cui ricordavo le fattezze, sono andato rigorosamente a memoria, mentre per le altre solo di alcuni sono andato a cercare le foto pur mantenendo una certa distanza da queste.


Se dovessi rifarla questa storia, come si dice "col senno di poi", cambieresti qualcosa oppure no?

Non ho mai questo tipo di ripensamenti.
Ogni storia è il frutto di un determinato periodo, le implicazioni sono e devono essere legate da un contesto specifico che è quello della sua realizzazione, serve a poco pensare cosa avrei fatto SE…
Anche perché sono le mie storie che decidono quando essere realizzate, questa ad esempio era ferma da oltre due anni, segno evidente che, se scelgono il tempo della loro realizzazione, tra tutte le scelte, quella deve per forza essere la migliore, e con tutte le implicazioni del caso, ed è quindi inutile recriminare.

Secondo te, che tipo di risposta ha avuto sul mercato?

Nell’ottica attuale del rapporto vendita e distribuzione, e tieni presente che è stato distribuito anche in allegato con il Tirreno (un quotidiano locale della provincia di Livorno) anche se solo per il territorio provinciale, direi più che buono, ma ancora non ho dati definitivi sulle librerie.
Dal punto di vista del giudizio del pubblico direi emozionante ed entusiasta, non avrei mai immaginato che un libro così personale avrebbe destato tanto interesse e tanta condivisione con chi lo ha letto, una vera sorpresa, ed in certi casi perfino imbarazzante.
Mi fa piacere segnalarti, ma è un tributo doveroso alla Mosquito Editions, che ci ha creduto, lo ha prodotto e pubblicato direttamente per la Francia con il titolo “Fragments –Histoires vécues des héros ordinaires-“, che il mensile “Casemate”, una rivista di critica e promozione di BD, forse la più importante del mercato francese, gli ha dedicato ben sei pagine oltre che essere stato molto apprezzato.


L'intera pagina pubblicitaria che il quotidiano "il Tirreno" ha dedicato, per settimane, all'uscita del libro in allegato al giornale.


Tra tutte le storie fino adesso realizzate, qual è quella di cui vai più orgoglioso e perché? C'è qualcosa che hai fatto di cui ti penti e qualcosa che non hai fatto e desidereresti farla?

R: Come ho già detto, non sono uno che ha ripensamenti, non servono a molto, solo ad avere dei rimpianti su cose che non si possono più modificare, e non amo neanche fare delle classifiche di merito, sono tutti figli miei, non ho preferenze, ognuno di loro rappresenta un momento specifico della mia vita, ce ne sono alcuni meglio riusciti ed altri meno, ma chi se ne frega, è un po’ come quando ascolti una canzone che magari non è neanche un gran che, ma ti ricorda un momento della tua vita preciso e solo quella canzone può ricordartelo, ma questo valore evocativo non ha nessun legame con la qualità della canzone stessa, è l’emozione quella che conta.

Ringraziandoti per la pazienza e la disponibilità che mi hai dimostrato, per concludere vorrei chiederti: i tuoi ultimi lavori per Bonelli risalgono, ormai, ad un paio d'anni fa con un Maxi Nathan Never e un Dampyr. A quando il tuo ritorno a casa Bonelli e cosa c'è nei tuoi programmi futuri? (qui puoi parlare anche dei tuoi impegni con la Scuola di Fumetto)

R: Negli ultimi dieci anni mi si sono moltiplicati gli impegni, dalla fondazione dell’Accademia Nemo (oggi Nemo Academy, visto il respiro internazionale che comincia ad avere) che è cresciuta in progressione geometrica, sono aumentati gli alunni e le ore di lezione, oltre che i coinvolgimenti con la nostra manifestazione Nemoland, e certi miei spazi si sono un po’ ridotti, anche perché è aumentata l’area d’interesse del mercato a cui mi rivolgo, prima era soltanto la Sergio Bonelli Editore, adesso sono anche le case editrici francesi e quindi qualcosa è rimasto più sacrificato di altri.
Ma la mia collaborazione con Bonelli non è mai venuta meno (ti rammento anche il romanzo a fumetti con Paola Barbato “Sighma”), ho iniziato anni fa una storia di Michele Medda che nel tempo si è trasformata in uno speciale ma, anche per i vari impegni di Michele, abbiamo dovuto lasciare in sospeso, al punto che successivamente mi sono messo a lavoro su una storia di Mirco Perniola dal titolo provvisorio “Spionaggio industriale” che conto di terminare entro l’estate.
Proprio pochi giorni fa, annunciando il mio ritorno sulle pagine di Nathan su un social network, ho visto il riaccendersi di un entusiasmo che mi ha fatto davvero molto bene, fa piacere constatare che quanto si è fatto ha lasciato, nel suo piccolo, un segno del tuo passaggio.





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