27 Dicembre
Giornata parzialmente libera, la mattina non riesco ad alzarmi a causa della sveglia che non avevo messo, sono stato cremato nella mia stanza nonostante l'azzeramento del termostato, evidentemente ha un riscaldamento autonomo che funziona indipendentemente dai comandi (ho scoperto, in seguito, che ogni volta che si toglie la tessera magnetica d'accesso alla camera che ne attiva automaticamente anche i contatti elettrici, il riscaldamento si riaccende alla temperatura prestabilita).
L'intera area dello store dedicata alle custodie per cellulari.
Direzione Shibuya, per visitare alcuni negozi di novità tecnologiche, come ho già detto qui i negozi hanno suddivisioni a piani, al primo piano c'era una quantità tale di custodie per cellulari che ho benedetto il Signore per non averne bisogno, visto la difficoltà nella scelta che mi si sarebbe parata di fronte.
Alcune immagini di Shibuya, e la statua di fronte alla stazione Hachiko, dedicata al cane che attendeva il proprio padrone invano e da cui è stato tratto l'omonimo film (americano) interpretato da Richard Gere.
Grande è stata la soddisfazione di filmare il passaggio pedonale in diagonale dove centinaia di persone contemporaneamente prendono possesso di incroci congestionati dalle auto tenute ferme dai rossi dei semafori, non ci crederete, ma è uno spettacolo pure quello.
I quattro pards.
Pranzo a base di ramen (la sera prima ci era piaciuto molto) ed abbiamo voluto raddoppiare, poi Takashi e Kaneko ci sono venuti a prendere con l'auto per andare all'atelier del maestro Kotabe che ci ha accolto con gli onori dedicati agli ospiti, è lasciate le scarpe all'ingresso, ci ha offerto biscotti tipici e del the.
La sera cena al ristorante italiano "Drammatico", dove pensavamo di ritrovare i sapori lasciati a casa, non che li rimpiangessimo, qui siamo votati a tutto, ma così pareva. La cena è stata di gran qualità e molto buona, ogni portata ben presentata e dai gusti precisi, ma per quanto il cuoco avesse lavorato per anni in cucine italiane, i sapori non hanno coinciso con i nostri, cosa che suffraga l'idea che ci eravamo fatti e cioè che ogni cucina assimila e viene contaminata dal paese ospitante (cosa che tra l'altro trovo legittima), prendendone sapori e cambiando in una mutazione interessante ma diversa dall'originale.
L'occasione era importante, perché l'ospite della serata era Isao Takahata, il grande regista di animazione del quale avevamo visto il film "Kaguya-hime no Monogatari" qualche giorno prima,oltre che co-fondatore dello studio Ghibli insieme a Hayao Miyazaki, personaggio di primissimo piano nel mondo dell'animazione mondiale e che avevamo contattato come ospite per la nostra prossima Nemoland, e dal quale aspettavamo un definitivo sì.
Immortalati dalla camera dell'amico Masatoki Minami (in basso a sx nella foto, che ha sigillato con la firma), i partecipanti alla cena al ristorante di chiare influenze italiane: "Drammatico". I soliti amici e al centro, seduto, il regista Ysao Takahata e al suo fianco la moglie.
E' stata una cena tutta impostata alle public relations e avevamo alcuni timori tutti legati all'importanza del personaggio e alla paura di non gestire al meglio le differenze di abitudini e dei rapporti umani, ma il tutto è stato semplificato dalla disponibilità di Takahata oltre al fatto che ama moltissimo la Toscana dove c'è già stato più di una volta e perché, almeno credo, la simpatia e il poco formalismo dei convenuti ha portato la cena su binari di sincera convivialità. Luca è stato grandissimo, non finirò mai di dirlo, apprezzo molto le sue caratteristiche proprio perché sono antitetiche alle mie, e quindi so come riconoscere optionals di cui non dispongo, ma le sue attenzioni e la sua premura verso l'interlocutore ho condotto l'incontro alla migliore conclusione possibile.
Inoltre, per quanto non disdegni le relazioni pubbliche e non mi tiri indietro di fronte ad impegni di questo tipo, ho molti difetti ma credo di conoscere i miei limiti, e so quando è il momento di farsi da parte quando il gioco non è nelle mie corde, e questo era uno di questi, Luca infatti, è un esperto di anime e produzioni nipponiche, conosce animatori, sigle, case di produzioni, gossip e curiosità su tutto lo scibile dell'argomento, ha visto di tutto e di più e potrebbe vincere un premio in una trasmissione a quiz su tutto quello che concerne l'animazione giapponese, mentre io non solo sono una pippa, ma ho una cultura in proposito quasi pari allo zero e non mi sento completamente a mio agio quando ho handicap simili, e quindi proprio non c'è stata gara, per cui il pallino e l'onere della gestione della serata è toccato a lui e, devo dire, è stato grande.
Detto questo, i vini che hanno accompagnato la cena sono stati un chianti classico, un barolo e un rosso di Montalcino (un cabernet -sauvignon, per la cronaca: il migliore), anche se una cassa si prezioso "Sassicaia" torreggiava abbiamo fatto i complimenti al cuoco per la bontà della cena e per gli sforzi profusi.
Rientro a Kichijoji, il quartiere che ospita il nostro hotel: il Tokyiu Inn, un salto in un centro di vendita di DVD e video vari per cercare novità introvabili (che tali rimangono), la classica botta di consumismo di fine giornata, e poi a letto, domani ci attende una giornata impegnativa.
28 Dicembre
Diciamo che non era tra i miei primissimi pensieri né tra i desideri inesauditi, ma la mattina è dedicata alla visita dell'enorme statua di Gundam (robottone protagonista di un universo fantastico prodotto attraverso film e serie tv), che torreggia imponente di fronte all'enorme centro DiverCity Tokyo Shopping Plaza nel distretto di Odaiba, in una zona nuovissima sul mare, dove ogni grattacielo fa a gara a figurare all'interno di una storia di Appleseed o Nathan Never, fuori dal suddetto centro campeggia una statua a grandezza naturale (o almeno come l'avevano immaginata i suoi creatori) del famoso difensore della terra, in ogni suo minimo dettaglio, all'ultimo piano del centro commerciale, dopo almeno una decina di piani di negozi, boutique, ristoranti e qualsiasi possibile attività commerciale, esiste questa sorta di museo dedicato alla serie televisiva, con un enorme domo (una cupola per la visione di una proiezione ad hoc) dove viene proiettato a 360 gradi un filmato di una serie di combattimenti del famoso esoscheletro.
Nel distretto di Odaiba la statua del Gundam di fronte al centro commerciale.
Adiacente, un vero e proprio museo che esalta le componenti, i particolari e le varie curiosità della serie e del personaggio, oltre che una inimmaginabile sfilza di statuine componibili in moltissime scale (tutte ugualmente belle e ad alta definizione) campeggiano descrizioni, schizzi, disegni, modellini vincitori di premi, cover di libri e riviste riguardanti il medesimo argomento.
Con l'aiuto di Luca, ho dovuto colmare (anche se solo parzialmente) le mie enormi, ma che dico enormi, abissali lacune sull'argomento, non che abbia sortito molte migliorie, ma qualcosina in più adesso so.
Dopo le foto realizzate in parte sul treno e in parte lungo i camminamenti tra i vari palazzi e sfruttando una vista su una laguna che fronteggia un enorme ponte in acciaio sorvegliato da una statua della Libertà in scala ridotta (e alquanto discutibile), siamo ritornati in direzione città.
Ora, la direzione città è alquanto discutibile perché sostanzialmente noi, fino ad adesso, non abbiamo visto altro che città, anche quando siamo stati a Yokohama a trovare la nostra amica Meiko, perché non esiste linea di discontinuità tra una città e l'altra, almeno in questa cintura di costa, è una cosa incredibile, fino a qui (escluso il panorama visto all'atterraggio), il Giappone sembra una distesa di cemento fatto di case, grattacieli, treni e sopraelevate senza soluzione di continuità.
Ad onor del vero, alcuni convenuti alla sera della serata passata, ci hanno riferito che mediamente una costruzione ha una vita di circa trent'anni, per cui dicono che gli stessi abitanti non riescono ad affezionarsi ad un certo panorama perché cambia continuamente, e questo l'aspetto più inquietante della città, del sua aspetto futuristico, delle sue continue novità.
Mille volte abbiamo avuto l'impressione di essere passati dal solito posto tanto sono uguali certi scorci, la stessa pubblicità onnipresente, luminosa ed affascinante per certi versi, essendo talmente ed ossessivamente presente su ogni facciata di palazzo non riesce a dare paradossalmente punti di riferimento, sembra quasi impossibile.
Qui il gruppo si divide.
In tre andiamo in zona Asakusa verso lo Skytree, altri due verso Shimbuya per l'acquisto di stoffe tradizionali.
Noi dopo un giro nella zona di Asakusa già conosciuta nei giorni precedenti pranziamo in un localino tipico un piatto di ramen e ravioli e poi ci dirigiamo, dopo un caffè in stile Starbucks (che diventerà presto un riferimento imprescindibile della vacanza e comun denominatore di colazioni e pause caffè) verso la torre più famosa di Tokyo, che occhieggia in lontananza.
Poi i tre baldi giovani si dirigono verso la Tokyo Skytree Tower, la più alta costruzione giapponese, un prodigio della tecnica che sfida con la sua ostentata sicurezza uno dei pericoli incombenti che incombono sul Giappone: i terremoti.
La Skytree Tower di Tokyo, vista in fase di avvicinamento da una stradina laterale.
È nel quartiere di Sumida e sembra vicina a dove siamo noi, ma per raggiungerla a piedi ci vuole il suo bel tempo, ma decisi come siamo a salirci in cima, proviamo l'impresa.
Facciamo dei bei chilometri a piedi (almeno tre), e poi, per ironia della sorte dobbiamo desistere: troppa gente.
Vuoi per colpa della bellissima giornata, vuoi per la disponibilità delle persone in periodo festivo, le file sono già oltre il consentito, e gli orari previsti dalla ferrea organizzazione nipponica ci impedirebbero di essere presenti all'appuntamento con Takashi.
Arriviamo in ritardo lo stesso, per colpa di un equivoco linguistico, noi andiamo in direzione Okubo quando l'incontro è previsto al Ogikubo.
Andiamo a visitare lo studio del nostro amico, piccolo ma coinvolgente per l'aria goliardica e familiare che si respira (oltre al fatto che veniamo a sapere che ha partecipato alla realizzazione del film di Takahata) e dopo andiamo tutti amici e animatori (altri se ne aggiungeranno di quelli conosciuti nei giorni precedenti), a festeggiare in un locale con chiare influenze italiane che ci prepara una cena a base di specialità varie, con dei rigatoni che assomigliano per sapore perfino ai nostri.
Ci scambiamo decine di biglietti da visita e scambiamo opinioni in un accavallarsi di inglese, italiano e giapponese che si snodano in una babilonia incomprensibile ma dalla quale ne usciamo vincitori. Vengo presentato ad una animatrice che aveva apprezzato il disegno realizzato per Takashi, decido allora di dedicargli un disegnino espresso, non avrei immaginato, ma l'entusiasmo di cui mi sono sentito protagonista mi ha perfino stupito, la ragazza ballava decisamente, presa da un tremito che non sapevo fosse l'effetto della mia performance o l'eccessivo alcool ingurgitato, fatto sta che l'ho fatta felice...ma che gli fo' io alle donne, bah!
La serata in nostro onore al quale hanno partecipato innumerevoli animatori conosciuti e molti dei collaboratori di Takashi, in alto il sottoscritto con l'ammiratrice al quale avevo dedicato un disegno.
Tra gli avventori c'erano animatori famosi e meno, intercalatrici e varie figure professionali, noi siamo gli unici seduti (ci sentiamo in colpa) ma siamo gli ospiti di riguardo e questo privilegio ci spetta di diritto, non tutte le portate arrivano però a destinazione, se riusciamo a mettere le mani su alcuni rigatoni che passavano di là, non riusciamo ad afferrare i dessert che vediamo consumare all'altro capo del tavolo, il vino e la birra scorre a fiumi, più d'uno da segno di avere alzato il gomito, un avventore si accascia sul bancone addormentato e si risveglia in tempo per la foto di gruppo, la serata scorre tranquilla e rumorosa fino al suo epilogo a tarda notte, tra una birra e un vino italiano, tardi sì, ma non sufficientemente per evitarci di fare un salto in un piccolo locale per l'ultimo ramen (di cui oramai siamo diventati esegeti), saranno le 11,30 ma il locale è pieno e dobbiamo fare la fila, poi ci accomodiamo tutti al bancone di fronte alla cucina, dove esalano vapori unti e il caldo mitiga la temperatura esterna.
Qui mangiano tutte le ore (e e noi pure), il ramen è uno dei migliori e c'è lo gustiamo con un appetito che non immaginavamo di avere.
Takeshi è così carino che ci accompagna all'albergo nonostante l'ora, noi andiamo a letto, in testa abbiamo l'ultimo giorno a Tokyo e l'imminente partenza per Kyoto.
Non dico che ci aspettiamo i samurai, ma speriamo in cuor nostro di vedere il vero Giappone, quello antico, fino ad adesso abbiamo visto il futuro prossimo venturo.
29 Dicembre
La sveglia fa i capricci e mi sveglio puntualmente in ritardo, tutti a colazione da Starbucks, ci pieghiamo alla gastronomia giapponese, ma non possiamo rinunciare alla colazione continentale (o a quello che più le si avvicina), al rientro dell'albergo sentiamo un gracchiare funesto sopra le nostre teste, é un corvo, c'è ne sono decine in questa città (e scopriremo in seguito anche in tutto il Giappone), ci osserva, gracchia appollaiato su l'asta di un semaforo e, con due battiti d'ali si appollaia su un cornicione.
La mattinata è prevista al museo di storia ma scopriamo che è chiuso, e non perché sia domenica, ma perché siamo vicini al Capodanno.
Decidiamo di tornare a Shibuya per gli ultimi acquisti, per chi ha ancora qualche commissione da compiere per colleghi o amici, i maschietti perciò si dividono seguendo le proprie esigenze, io è Luca andiamo di nuovo da Mandarake insieme a Takashi e Kaneko, ma stavolta in quello sito nel quartiere sopracitato (ne ha ben cinque in tutta Tokyo, anche se quello di Nakano, il primo visitato, resta il più grande).
L'enorme offerta di pupazzetti, costruzioni, manga, originali e quant'altro faccia riferimento al fumetto e anime al'interno dello store Mandarake.
Ne usciamo storditi, almeno io non c'è la faccio più a vedere migliaia di fumetti (per me quasi tutti identici), un'iconografia ripetitiva ed asfissiante, a parte qualche rarissimo comics americano non si vedono che bamboline con occhi sgranati e dalle fattezze infantili accompagnate da maschietti efebici e asessuati. Ė vero, non voglio generalizzare, ci sono delle differenze tra loro, è ovvio, sono talmente tanti che vorrei vedere non ci fossero delle differenze, ma anche gli artbook o i making delle serie sono talmente poco invitanti che neanche riesco a sfogliarli.
Riconosco al manga una forza strabiliante, una potenza espressiva e produttiva come forse nessun altro mercato sa esprimere e la capacità di sapersi differenziare con tematiche di ogni tipo e target di lettori selezionati (ho visto in treno un'anziana e persone di ogni età leggere un manga), e se tutto il fumetto mondiale godesse di questa salute e sopratutto di questa potenza commerciale saremmo certo tutti più felici, ma non riesco a cambiare opinione sulla tipologia da clonazione delle sue serie che, nel bene o nel male rappresentano una tipologia produttiva di tipo industriale e che quindi, propone ben poco di artistico ed autoriale (e chi mi conosce sa bene quanto sia refrattario a definizioni del genere) e che quindi, inevitabilmente, non può catturare la mia attenzione, da sempre abituata a cercare con spasmodica frenesia stili e spunti originali di rappresentazione.
È ovvio che certi miei giudizi siano generazionali, così come credo che se fossi cresciuto amando Gundam avrei amato, come tutti i ragazzi di quel periodo, questi enormi robottoni, ma nessuno riesce a convincermi del valore assoluto dell'unicità, almeno come valore artistico, sono sempre stato convinto e lo sono tutt'ora, che la polifonia degli stili e la molteplicità degli stimoli visivi e creativi aiutino ad avere un'immaginario più vario e di conseguenza più fertile.
Mi astengo da supportare con qualsivoglia teoria sociologica queste mie affermazioni che vogliono essere del tutto personali, anche perché non ne avrei né gli strumenti, né la voglia, e da questo ognuno tragga le proprie conclusioni.
Shibuya, il building Bunkamura , bello elegante e con musei, cinema, gallerie e negozi di gran lusso.
Poi un veloce veloce pranzo a base di tempura all'ultimo inno di un department store in cima ad un palazzo nel centro di Shibuya dal nome esotico di Bunkamura, palazzo elegantissimo che alla sua base ospitava negozi come quelli di Bulgari ed Hermès, poi in altra oretta spese per centri commerciali, dopo di che di corsa a riprendere i bagagli veloci (il grosso lo abbiamo lasciato al Tokiu Inn dove rientreremo per l'ultima notte) per andare alla stazione a prendere il treno per Kyoto, il famoso Shinkanzen, il treno veloce che collega molte città del Giappone in poche ore. Ci aspettava la carrozza 13 dove avevamo prenotato i nostri posti (nonostante avessimo già il Japan Rail), adesso sono qui comodamente che scrivo su una poltroncina più comoda di quella di una qualsiasi aereo di linea.
L'aerodinamicità attraverso il design aggressivo dello Shinkanzen, il treno ad alta velocità.
Arrivo alla stratosferica stazione di Kyoto, enorme, bellissima e moderna, con una volta in acciaio altissima ed imponente, se pensavamo di passare dal moderno al tradizionale, cambiando città, abbiamo sbagliato di grosso.
In alto la Kyoto Tower, torre che sovrasta la stazione e sotto uno scorcio interno delle enormi strutture che compongono il terminal ferroviario della città, una struttura poderosa ed enorme, fatta di un gigantismo anche un po' pacchiano che stupisce più per la sua insolente potenza costruttiva che per l'eleganza architettonica.
Ma basta soltanto seguire il navigatore gps per trovare l'ubicazione dell'albergo per cambiare idea, il quartiere che attraversiamo infatti, è costituito dalle solite stradine strettissime e senza marciapiedi (le vie dei quartieri abitativi non hanno marciapiedi e, quando ci sono, solo delle strisce che delimitano lo spazio pedonabile) e senza automobili parcheggiate lungo la strada (quelle non le ho viste in tutto il Giappone visitato finora), ma anche da case in legno realizzate nello stile tradizionale giapponese, basse, con decori sui tetti e la geometria razionale dell'uso del legno nei particolari.
Ecco, adesso si comincia a ragionare.
Siamo una carovana di personaggi con trolley al seguito, il nostro rollare delle borse sul selciato rimbomba nelle stradine deserte, e dopo una ventina di minuti ci ritroviamo all'Aranvert Hotel Kyoto, non facciamo tempo ad arrivare che ci chiedono il pagamento di tutti i giorni prenotati, questa botta di malafede nei nostri confronti (pratica che non si è mai verificata, neanche nel più blasonato Century) non è giustificata dalla classe dell'albergo che non è niente di che, nonostante un'entrata che ostenta anche delle ambizioni ed è costituita da una vastissima hall rivestita di sontuosi marmi con vaghe reminiscenze classiche, e poche sedie disposte solo su un lato che ne acuiscono un senso di spaesamento e solitudine tra gli avventori, le camere sono confortevoli ma i letti sono tutti rigorosamente da una piazza e mezzo, a me che sono solo va anche bene, agli altri, che sono a coppie, tocca litigarsi lo spazio per la mezza piazza mancante.
Cena veloce in un ristorantino aperto 24 ore su 24, a base dei soliti "pici" in brodo con verdure e carne, del riso, due zucchine mignon e del tofu insapore come sempre, oramai ci siamo abituati e ci sentiamo perfino sazi, ma dopo facciamo due passi e ci fermiamo a prendere una bustina di biscotti al cioccolato in un supermercato, anch'esso che fa orario continuato, il centro è lontano e decidiamo di andarcene a letto.
Le esplorazioni le lasciamo a domani.
30 Dicembre.
Appuntamento con Meiko, Milo, il suo ragazzo che l'ha raggiunta per l'occasione ed un suo amico Koyama, che è un fine ceramista.
Direzione Kyoto antica ed il tempio di Kiyomizu-dera, uno dei molti che andremo a visitare.
Il tempio di Kiyomizu-dera e le stradine per arrivarci.
Qui non è raro incontrare coppie di fidanzati e giovani sposi che circolano in abiti tradizionali, specialmente in questo periodo, i kimono vengono affittati e vestiti in appositi negozi e gli improvvisati indossatori oltre che sottostare una tradizione locale, non disdegnano di farsi fotografare dai turisti, ovviamente sorridendo imbarazzati.
Questo per i giapponesi è il periodo più importante dell'anno per visitare questa città, ed il pellegrinaggio ai templi, buddisti e scintoisti (entrambe le religioni sono riconosciute dallo stato e possono essere praticate entrambe contemporaneamente senza conflitti), e questi pellegrinaggi hanno anche un valore di tipo votivo, poiché ci sono molteplici modi per richiedere grazie per esaudire desideri o aspirazioni. Dall'aspergersi il volto con il fumo di alcuni "bracieri", suonare campane, lavarsi le mani da fonti miracolose oppure toccare statue di Buddha sparsi qua e là, ma sempre rigorosamente donando alcune monetine nel senso che, tanto per intendersi, senza niente....non vi aspettate un gran che.
I templi sono molto belli, colorati e dall'architettura tradizionale fatta ad incastri e da strutture assolutamente affascinanti, le stradine per raggiungerli fitte di negozi dalle mille attrazioni, tutte molto appetibile per la loro artigianalità e quel gusto così lineare e razionale che io amo moltissimo, anche le più che al nascondono un fascino tutto loro.
Prima di pranzo si unisce a noi Yoichiko, un'amica di Meiko, una ragazza che ha vissuto alcuni mesi a Firenze per imparare l'arte orafa e che parla abbastanza bene l'italiano, veramente molto carina, dai modi garbati e di quella timidezza tutta giapponese che le fa abbassare lo sguardo quando sorride e di una eleganza e compostezza unica. Poi andiamo a pranzo nel ristorante della ragazza di Koyama, che gestisce un localino sobrio ed elegante difficile però da raggiungere senza guida, e che ci offre una zuppa di zucca fantastica e degli spaghetti alla parmigiana (non so se sia un piatto del menù, o una specie di tributo agli ospiti) o con dei pescetti piccolissimi e saporiti che sono una favola.
Il pranzo nei pressi di Kiyomizu.
Pomeriggio all'insegna del gironzolare tra le stradine di Kyoto e poi direzione per Kiyomizu-yak, una località famosa per le sue ceramiche dove Koyama insieme a Okayama, un suo amico, gestisce un laboratorio di produzione di ceramiche, i due tra l'altro faranno parte di una delegazione di artigiani che verranno a fare un corso a Firenze, in uno scambio interculturale tra le due città, da tempo legate anche dal gemellaggio. Qui assistiamo alla tradizionale cerimonia del the, che ha un rituale tutto suo (e che abbisogna di uno studio lungo e approfondito per praticarlo), dopo un dolcetto gustoso ci viene offerto un the verde davvero buono (va bene, il davvero è un'esagerazione, ma diciamo che l'ho apprezzato), tenete presente che il the è la bevanda che viene servita regolarmente ad ogni pranzo e fa parte accessoria praticamente di ciò che viene servito.
La cerimonia del the a Kiyomizu, presso il laboratorio di ceramica di Koyama e Okayama.
A cena con tutti gli amici kyotesi, nel locale dove abbiamo assaggiato gli spaghetti tipici della cucina locale chiamati yakisoba.
Prenotiamo in un altro ristorante per la cena dell'ultimo dell'anno ed accompagniamo i nostri amici e torniamo sui nostri passi prima di andare a letto, non prima di aver visitato, per altri motivi il Kyoto Yodobashi, un department store dove abbiamo trovato un reparto giocattoli che mi ha fatto rimpiangere di non essere bambino.
Poi a nanna pronti per affrontare l'ultimo giorno dell'anno e presentarsi per il nuovo nella migliore forma possibile.
31 Dicembre
Partenza ore 7,30, puntuali come metronomi ci ritroviamo tutti pronti per il programma prefissato, e caspita, mica siamo qua a pettinare le bambole!
Mattina dedicata al pellegrinaggio del santuario Fushimi Inari-Taisha visitato la sera precedente, dove oltre 5000 porte tradizionali in legno (donate da persone o aziende che hanno ricevuto grazie di vario generi o hanno visto esauditi i propri desideri) delimitano una camminata di quasi 5 km da percorrere interamente a piedi in un saliscendi fatto di gradini di varia grandezza.
Come ogni dilettante allo sbaraglio partiamo veloci e sicuri per trovarsi poco dopo con la lingua per terra, nonostante i miei suggerimenti da jogger (anche se salite e discese sono un'altra cosa), le cartine mentono spudoratamente e le distanze non sono molto rispettate, siamo in ritardo sulla tabella di marcia ed arriviamo con oltre 30 minuti di ritardo con l'unico rappresentante del gruppo che aveva rinunciato in anticipo sulla sfacchinata: Federica.
Ne è valsa comunque la pena, foto e scorci molto belli illuminati dalla luce della mattina hanno coronato le nostre fatiche.
Mattina,baciati da un neonato sole e freschi nella nostra prestanza, ci siamo sciroppati tutti gli oltre 5000 metri componenti il percorso ad archi adiacente al santuario di Fushimi Inari-Taisha.
Ne è valsa la pena, lo spettacolo è stato bellissimo, ma che fatica...
Poi di nuovo alla stazione per prendere un nuovo treno per Nara, dove é sito il più grande tempio in legno giapponese il Todai-ji che contiene un enorme Buddah costruito anch'esso in legno e bronzo, attrattiva di sicuro interesse, quindi di nuovo sui treni della Japan Rail e in 45 minuti raggiungiamo la nostra destinazione, qui nell'ampio spazio antistante alla stazione ritroviamo il solito corvo più volte incrociato nei nostri pellegrinaggi, questa volta staziona su un cornicione della stazione, con il suo gracchiare ci da il benvenuto ed abbiamo il sospetto che sia lo stesso che ci segue da Tokyo.
Nara, direttamente dalla penna di Edgar Allan Poe: il Corvo...che sembra ci abbia "seguiti" costantemente nel nostro girovagare.
Abbiamo già diversi km. sulle gambe ma oramai siamo rotti a tutto, e ci incamminiamo verso il tempio, mentre già parecchie persone camminano verso la stessa meta, ad interporsi tra noi ed il tempio c'è un parco che ospita moltissimi esemplari di cervo, animale sacro di Nara e mascotte di molti pupazzetti in vendita ovunque e qui, stupiti da un'ulteriore caratteristica giapponese, scopriamo che alcuni di loro, prima di ricevere il biscotto offerto dalle persone, le omaggia o con un elegante inchino della loro testa.
Un'educazione che non ha barriere, gentili ed educati anche gli animali, da non credere.
Il parco intorno al Todai-ji è animato da decine di cervi (animale sacro del posto), il tempio ispiratore della prima pagina del mio primo Nathan Never, e dove risiede il più alto Buddah in legno del mondo.
Ci sfamiamo ad un banchetto ambulante con degli spiedini di pollo bagnati in salsa di soia, sono saporiti e si lasciano mangiare, poi ci uniamo alla folla di persone che vanno in direzione del tempio, molte bancarelle che costeggiano la via d'accesso sono chiuse inspiegabilmente, la gente è molta e farebbero buoni affari.
Arrivati al Todai-ji mi si para davanti in lontananza una struttura che ricordo benissimo anzi, che non potrei mai dimenticare, mentre al tempo non mi ero mai posto il problema di che cosa fosse o almeno di quale fosse il suo nome, e cioè il tempio che appare nella prima pagina del mio primo Nathan Never, "Operazione Drago". È un bel ricordo ed una casualità che mi lascia sorpreso e perplesso, non mi ero preparato affatto a questa vacanza, da anni vado così, un po' alla cieca in certi viaggi, e trovarmi di fronte qualcosa di così significativo mi è parso un segno particolare.
Non sarebbe stato l'unico della giornata.
Il Buddah comunque è imperioso e solenne nella luce tagliata del pomeriggio, l'atmosfera è molto bella specialmente segnata da fasci di luce che filtrano dalle porte principali, i riti i soliti, offerte e preghiere di fronte alla divinità, in una delle colonne portanti un buco indica a chi riesce a passarci un destino propizio: i bambini non hanno difficoltà, per molti anni ancora sarà in effetti così, poi le cose cambieranno anche per loro, per gli adulti di stazza normale la cosa si fa più difficile, ma c'è da dire che qui le taglie sono ridotte e le percentuali si alzano.
Rientriamo in tempo per una doccia veloce e per non arrivare all'appuntamento con Meiko, Milo e Chaky che ci aspettano per la cena di fine d'anno.
Niente cenone quest'anno, né brindisi o schiamazzi, bensì una sobria cena a base di sashimi e tempura in un elegante ristorante nei pressi della stazione...ma la serata era solo all'inizio.
Ora, per i giapponesi il così detto cenone non è che una cena normale, se ne vanno a letto e la vera festa arriva l'indomani dove, e specialmente a Kyoto, si festeggia l'anno nuovo visitando luoghi di culto, per cui il ristorante ha una clientela normale, di un giorno normale, con menù normali.
La cena è qualitativamente ottima, le portate sono minimali per quanto saporite e presentate sempre con grande grazia ed eleganza, non ci strafoghiamo (ma qui in Giappone, se si segue la normalità non succede mai) e ci ritroviamo sazi alla fine della cena, che finisce presto e senza il consueto spumante.
Generalmente questi riti, quando siamo lontani da casa e specialmente in contesti diversi, si percepiscono meno e qui anche meno che mai, visto che le bevande sono per lo più o birra Ashai o sakè secco o dolce.
Una volta usciti e dopo avere lasciato Chaky, che con la sua simpatia ha condiviso con noi questo momento, decidendo di passarlo insieme ad una masnada di italiani, ma che ha lavorato tutto il giorno, per non andare a letto e arrivare alla mezzanotte, Meiko ci consiglia di andare in un tempio non troppo distante.
Accettiamo, nonostante le decine di km fatte nella giornata.
Il percorso è curioso, ci allontaniamo a piedi del centro verso la periferia, o quello che pare essere, attraversiamo quartieri normali per addentrarci in quella che piano, piano comincia a trasformarsi da periferia residenziale a zona industriale.
Qualche dubbio viene.
Poi in una strada qualsiasi di un quartiere qualsiasi si apre uno slargo illuminato dal fuoco, con intorno persone che mangiano e bevono, sono dei volontari che attendono di trascorrere il capodanno insieme al priore del tempio di cui fanno parte, un tempio con un padiglione antistante caratterizzato e famoso per un drago in legno scolpito a sbalzo e sul soffitto della struttura, che noi prontamente andiamo a fotografare.
L'enorme drago in legno realizzato a sbalzo nel padiglione antistante al tempio di Takio dove abbiamo visto morire il 2013 e nascere il 2014.
Ci dicono che un francese esperto d'arte è stato tre mesi a studiare la scultura, non facciamo fatica a comprenderne il motivo, la scultura in effetti e davvero molto bella.
Non ho capito se qui ci siamo arrivati volutamente, o per caso, l'idea che mi sono fatto è che la meta fosse un'altra e che, nel cammino, ci siamo imbattuti in questa struttura che magari è anche conosciuta, ma oggettivamente è fuori da percorsi ordinari.
A me le casualità piacciono, rendono uniche certe occasioni.
Ci offrono il sakè e ci invitano a sedere su panche disposte intorno ad un bel fuoco che schiocca e frigge, non è caldissimo e il calore ci fa piacere, più di una persona ci chiede da dove veniamo, ci scattiamo delle foto e familiarizziamo, sono simpatici e alla mano anche se la lingua ci divide e senza Meiko brancoleremo nel buio più totale.
Poi il priore si avvicina, tra poco celebrerà una cerimonia di addio a l'anno corrente e successivamente, dopo la mezzanotte, quella di benvenuto a l'anno che verrà e desidera che partecipiamo anche noi.
Colpiti dalla sorpresa e dal gentile invito: accettiamo.
L'intera brigata riunita di fronte al tempio di Takio, dove scintoisti e cristiani hanno suggellato il passaggio da un anno al'altro in un abbraccio fraterno e solidale tra due religioni, in una comunione ed un rispetto che ci è sembrato di buon auspicio per tutti.
Sapete com'è, noi italiani siamo un po' cialtroni e nelle cose vediamo sempre il lato grottesco o quello comico, ma qui davanti all'ospitalità di gente semplice che si fa avanti e divide con noi, mai visti e conosciuti, il loro sakè, beh, abbandoniamo il nostro gigionismo e stiamo al gioco, tra l'altro, simpatico ambasciatore del gruppo è un arzillo vecchietto, dal baffo volitivo e l'occhio vispo che si fa incontro con fare ridanciano e ci chiede subito, con un incomprensibile giapponese che noi per miracolo comprendiamo, da dove veniamo, ed appena gli diciamo "Firenze", come un juke box e giusto per restare in tema, attacca a cantare "O sole mio".
Noi ci guardiamo attoniti, ma giusto per non deluderlo la cantiamo un po' anche noi, e dopo un'altra bevuta di sakè, che come tutti gli alcolici invita al canto e alla goliardia, e una bella pacca sulla spalla ci chiede, evidentemente conscio di essere andato fuori tema, qual'è la canzone di Firenze, noi rispondiamo "La porti un bacione a Firenze", e lo sguardo di lui ci dice che non l'ha mai sentita, allora siamo noi che, nota più nota meno la intoniamo, lui accenna l'aria insieme a noi provando a seguirne la melodia, è uno che ci prova, ma poi cede e passa a una più conosciuta "Torna a Surriento", non c'è niente da fare, il suo repertorio è quello napoletano.
Qui, tra qualche goccia d'acqua e una bevuta di sakè, abbiamo varcato la fine del 2013 per iniziare un 2014 che speriamo migliore per tutti, intorno ad un fuoco e bevendo insieme a dei volontari, un'esperienza inaspettata e per questo bellissima e che mai ci saremmo augurati.
Ora però, non so se lo sapete, anche se spesso la nostra fama ci precede, ma noi toscani abbiamo una pessima propensione ai cerimoniali, le liturgie, la sacralità in genere, non che non siamo religiosi, per carità, ma il nostro caratteraccio ci fa sempre vedere l'aspetto più ridicolo, quello più comico di determinate situazioni, anche in quelle che si trasformano da comuni episodi in momenti di pregante significato, quasi non ci volessimo credere che il mondo è fatto anche di cose serie, e così abbiamo sempre la perenne voglia di vedere il lato divertente delle cose o quello da dissacrare. Per cui, all'inizio della cerimonia, dopo esserci tolti le scarpe e saliti nel tempio, ai primi mugolii (non per mancare di rispetto, ma il giapponese sortisce questo effetto, almeno per me), io e Luca ci guardiamo di sottecchi ed accenniamo un sorriso complice, poi però la cerimonia ed il suo coinvolgimento aumenta e si fa serio, e finiamo per entrare nel clima giusto ed accettarne le liturgie con religioso silenzio e una serietà inaspettata, non vi nego che io ne sono stato coinvolto in maniera convinta.
Il priore ci ha tenuto a dire che se la provvidenza ci aveva portato da loro questo accadimento doveva essere per forza un segnale positivo e voleva dire che i loro dei erano ben felici di accettarci, entrando in sintonia con i nostri in un abbraccio fraterno e solidale, la cosa detta così sembra una frase banale ma ha un significato ben più profondo delle parole stesse, ed il messaggio di comunione e condivisione di valori trascendenti e che dovrebbero essere unificanti per tutti, a prescindere dalla religione, è assoluto.
Appena usciti dal tempio, il priore ci ha detto che noi siamo stati i primi occidentali a metterci piede all'interno da sempre, molti lo avevano visitato, ma nessuno ci era mai entrato fisicamente, ci siamo guardati negli occhi e questo, che in sé è un fatto per certi versi "storico", ci ha ammutoliti perché ci è sembrata perfino una cosa più grande di noi, arrivati lì per caso eppure prescelti, perché proprio noi?
Che cosa vorrà dire?
Tutto questo ha un significato?
Di domande da farsi ce ne sarebbero molte.
Abbiamo fatto le foto, abbiamo ringraziato quella piccola comunità che ci ha accettato con tanta benevolenza e ce ne siamo tornati in albergo felici, senza cenone, senza spumante, senza botti o fuochi artificiali migliore Capodanno non avremmo potuto trascorrere, nessuna pianificazione o programmazione avrebbe mai potuto ottenere risultati così pregnanti, ci siamo sentiti uniti e solidali con persone mai viste in un segnale di speranza che ci è sembrato ben augurante.
Stanchi e con tutto il percorso ritorno da fare siamo rientrati in albergo, domani è il 2014 e non è iniziato male.
No, per niente.
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