topolino


15 giugno 2016

Festival di Hanret, l'ultimo prima dell'estate.

Ci tengo a sottolinearlo.
Mi è già capitato di annunciarlo e di fare leva proprio sul fatto che, per la prima volta, sono invitato ad un festival Belga.
Il Belgio è, probabilmente, ancora più affamato della Francia di fumetti e BD, qui le nuvolette sono proprio considerate una forma d'arte e godono non solo di grandissima credibilità, ma anche di un'enorme considerazione popolare e culturale, ne è tangibile testimonianza a Bruxelles il CBBD museo del fumetto che, mi dicono, sia davvero molto bello.
Ma il Belgio, per uno che è cresciuto a Rosignano Solvay (ed il secondo nome del paese da già delle indicazioni precise), il Belgio è la Solvay, la grande multinazionale chimica che con il proprio insediamento sulle rive della costa Etrusca, ha praticamente fondato il paese in cui sono cresciuto e sono diventato quello che sono.
La Solvay è la sirena che annuncia l'uscita degli operai a mezzogiorno, è lo sciamare di centinaia di tute blu da quegli enormi cancelli, è lo sviluppo ed i progressi di un paese che era popolato sostanzialmente da contadini e poco più, è l'industrializzazione un po' forzata di un territorio che però ha portato sviluppo e crescita, sono le vacanza a Gavinana che non ho mai fatto, sono le pinete dove andavamo a giocare a pallone, è mio nonno che usciva al secondo turno il 2-10 in bicicletta, sono i Canottieri dove ho trascorso le più belle estati della mia vita, insomma sono tutti i miei primi 25 anni di vita.
Ma il Belgio è anche la medaglia che re Baldovino donò a mio nonno nel lontano 1963, nel cinquantesimo anno di fondazione della fabbrica, lui, unico tra le centinaia di operai che avevano varcato i cancelli di quella fabbrica, a coronamento di una umile vita da semplice operaio turnista, spesa nella dedizione di un lavoro che ha amato fino all'ultimo giorno. Una medaglia in un diverso tricolore (e sto usando le stesse parole di una mia graphic-novel), appesa con orgoglio nella sua cucina, vanto e riconoscimento per la sua vita vissuta in quella fabbrica.
Ecco, il Belgio per me, è un po' tutto questo.
Ed è proprio per questo che, dopo anni e anni in cui girovago in lungo e in largo per tutta la Francia tagliandola a spicchi, il fatto di non essere mai stato invitato qui, non solo mi sembrava strano, ma mi pareva perfino legato ad un avverso segno del destino.
Poi sono arrivati Rodolphe Olivier, e mi hanno invitato ben quasi un anno fa, quasi non volessero correre il rischio di perdermi.

Il giorno, a queste latitudini, finisce più tardi, e la luce si spegne al rallentatore, sono quasi le dieci e ancora si vede bene senza illuminazione artificiale, è una bella sensazione.
David, il direttore della scuola, dove è la sede della manifestazione, viene a prendermi all 'aeroporto di Charleroi e mi accompagna ad Heghezee.
Qui nel grande salone sono già tutti a mangiare in una grande tavolata, ci sono Alessia de Vicenzi, Simona Mogavino Alessio Lapo e sì, Pino Rinaldi, un collega che oramai per mille motivi, vedo solo saltuariamente.
Su Opale BD il sito dove vengono segnalati i Festival francesi con date, affiche e relativi ospiti, avevo visto il suo nome ma, la foto non corrispondeva al suo volto per cui mi ero convinto fosse un omonimo francese, ci poteva stare,  ed invece accanto ad Alessio, già intento a consumare la propria cena, c'era proprio lui.
Saluti di rito, baci abbracci e andiamo al buffet, che era già imbandito di affettati, verdure, pasta alla belga (in un'altra vita vi dirò com'è condita), pomodori ripieni insomma, tutto il necessario per placare quella fame atavica che si dimena in ogni ventre insaziabile di un italiano che si rispetti.
Non so se gli altri fanno così, ma noi italiani, di fronte al buffet, disco giallo senza patemi, e diamo sempre la precedenza al buffet.
Poi mi si fa incontro Rodolphe, il presidente della manifestazione, una persona dal sorriso contagioso e dall'eloquio cordiale, Olivier, discreto organizzatore e pianificatore dei relativi viaggi degli ospiti e successivamente Mario, un pacioso italiano emigrato in Belgio che si siederà accanto a noi e diventerà il nostro anfitrione per tutta la durata della manifestazione, con il suo italiano fluente e la sua simpatica aria di complice di tutti i nostri discorsi e delle nostre risate.
Io e Alessio cominciamo a sfotterci, io lo prendo per il culo, lui ci sta, oramai è un teatrino collaudato, Simona non sta mai zitta, Alessia ride e Pino, inesperto ospite di questo commedia dell'arte non può che rimanerne coinvolto, ridiamo e ci rilassiamo, e la serata come sempre trascorre in tranquillità.
Alloggiamo all'Ibis di Namur, un ridente centro attraversato dalla Mosa a circa trenta minuti da Heghezeé, classica cittadina con costruzioni in mattoni a vista, finestre larghe ed alte, per poter prendere tutta la luce possibile di quei luoghi. L'albergo è confortevole, la Ibis è una catena che in Francia è molto diffusa ma da noi poco conosciuta, ma generalmente le stanze sono non troppo grandi ma pulite e confortevoli.
Rinnego ciò che ho detto e, dopo avere constatato il tempo necessario per andare in albergo e controllato l'ora, decido di non scendere nella hall e di andare direttamente a letto, la giornata per me poteva finire anche lì. Spero che gli altri mi abbiano perdonato e non credo di essermi perso, con tutta la simpatia che nutro nei loro confronti, niente di così indispensabile a favore di ore di sonno che invece reclamavano le mie membra.







Namur sotto la pioggia, condizione normale per il panorama belga nelle sue meravigliose nuances di grigio.


Sabato con attesa.
Definirei così l'inizio della giornata iniziata con un gesto di nobile generosità, e cioè rinunciando ad andare in un'auto per evitare che gli altri amici rimanessero da soli e che invece, mi si è rivoltato contro obbligandomi ad aspettare per quasi 50 minuti un collega francese che se l'era presa molto comoda, non sapendo, il tapino, di quante volte ogni cinque minuti l'ho mandato a cagare, visto che con la mia pazienza ho da sempre un pessimo rapporto, per non definirlo conflittuale.
Il Belgio per me rappresentava però anche un enigma, la prima volta ad un festival senza sapere quanto la Mosquito, la mia casa editrice fosse è conosciuta e capillarmente distribuita.
I miei volumi disponibili erano soltanto cinque, e cioè molto meno della metà da me realizzati e con l'assenza del mio cavallo di battaglia, e cioè la saga di "Hasta la Victoria!"  che, per fare breccia, è sempre un ottimo cavallo di Troia.
Ma le paure sono finite quando, incessantemente e, adesso posso dirlo, per l'intero arco della manifestazione, la fila di richieste di dedicacés non si è mai esaurita.





Artist at work. Dal basso in alto, il Casini, Rinaldi, Alessia de Vincenzi e bello come il sole in una splendida maglietta bianca rilucente della sua beltà, at last: Alessio Lapo.

La cronaca è nota, a sedere dalle 10,00 (ma oggi in realtà dalle 11,00 a causa del ritardatario) fino alle 12,30 per iniziare alle 14,00 fino alle 18,00, che nel nostro caso si sono trasformate nelle 19,00.
Io generalmente non parlo mai troppo del mio lavoro, ho una scansione di impegni settimanale che mi portano raramente a parlare delle dinamiche di ciò che faccio, ma in queste occasioni, con i colleghi che lavorano in Francia è inevitabile non finire su argomenti del genere anzi, direi pure senza paura di essere smentito, che non parliamo di altro. Poi, c'è anche da dire che a mio sfavore c'è anche la lunga esperienza che oramai mi porto dietro e che, con giovani colleghi diventa per loro anche motivo di curiosità e che ci ingolfa in chiacchierate di vario genere ma sempre su un unico argomento: la BD.
Questa volta c'era pure Pino, anche lui oramai decano quanto me, per cui curiosità, gossip e pareri si sono sprecati ma di certo non ci siamo annoiati, anche perché il tutto è sempre condito da sfottò, risate, in fondo i nostri dibattiti non sono paludati e non voliamo mai a quote altissime, oddìo, intendiamoci, fino a quando Alessio dall'altezza della sua esperienza documentaristica, non ci intrattiene con dei pezzi di rara conoscenza, distribuendo così, a piene mani folgoranti lampi di cultura che, devo ammetterlo, ogni volta ci destabilizzano.
Questa volta infine, ci ha anche intrattenuto con un inaspettato e sorprendente assolo di chitarra (leggermente fuori tono), mimando con le due mani un riff come se tra di loro avesse una Fender d'annata, che neanche Jimi Hendrix in pieno tripp avrebbe saputo fare. Mitico!




Invece dei tre tenori: i tre coglioni "in concert", io che sembro grattarmi gli zebedei, Alessio che ci crede davvero e mangia il microfono come fosse Steven Tyler, però, anche Pino...

Due note storiche.
Ora, lo so che definirle storiche pare eccessivo, ma nel microscopico ambiente del fumetto e in particolare in quello ancora più piccolo e cioè in quello che riguarda lo sviluppo e le vicissitudini di quello specificatamente bonelliano, Pino ed io, nel bene e nel male, facciamo parte di quella ristretta cerchia di dieci disegnatori storici che facevano parte del team iniziale di Nathan Never, il primo character di fantascienza di casa Bonelli, appunto.
Inevitabile perciò non parlare di quel periodo e sopratutto di ciò che successivamente accadde a lui, solo dopo l'uscita del numero da lui realizzato e che, poco dopo, coincise anche con la sua fuoriuscita definitiva dalla casa editrice e, all'epoca, di questo si parlò ampiamente, non nei TG ovviamente, ma nell'ambiente.
Non entrerò nei dettagli, ma non era difficile immaginare che la cosa non riemergesse, e quando c'è Pino emerge sempre, in un modo o nell'altro. Ha raccontato la sua versione dei fatti ed io ho detto quello che, da altre parti avevo sentito a mia volta,  con la tranquillità e la serenità che il tempo riesce a distribuire su cose avvenute in passato e che oggi sono soltanto ricordi, seppur amari, ma sempre ricordi.

Per la giornata di domenica era previsto, per chi ancora non l'aveva fatto e ovviamente per chi era interessato, un giro a Namur al museo di Félicien Rops, un artista locale di notorietà acclamata.
Io, noto per la mia ignoranza, non l'avevo mai sentito nominare.
Tra gli italiani avevamo accettato soltanto io e Pino, per cui la mattina, ad un orario diverso dagli altri, siamo stati prelevati con altri colleghi.
Il weekend finalmente, aveva decisamente virato verso la ben nota caratteristica climatica del paese, e cioè la pioggia, ed ora che tutto era rientrato nella norma, siamo partiti più tranquilli. Immaginarci il Belgio con il sole è come immaginare Khartoum sotto un'acquazzone, lede pesantemente il nostro immaginario geografico e, sono convinto, non fa bene neanche alla salute.

Félicien Rops è un artista simbolista-decadente che con i suoi disegni e le sue caricature su giornali antigovernativi a metà dell'Ottocento era una spina nel fianco del governo semi- dittatoriale di Napoleone III giornale che, con irriverenza oggi quasi sconosciuta, dileggiava con vignette critiche le malefatte o sottolineava le criticità del periodo. Contemporaneo di tutti i più grandi artisti dell'epoca, e ricordo che, in quel periodo storico (e non solo) Parigi era la capitale culturale mondiale, ha vissuto perciò intensamente e confrontandosi con i più grandi poeti, pensatori ed intellettuali.









Félicien Rops.

La guida, una piacente ed entusiasta signora ageè, dal distinto aspetto e motivata da un interesse ed un amore verso il lavoro per la testimonianza dell'artista namurense, ha contagiato con le sue conoscenze e, ripeto, con un'entusiasmo che quasi faceva immaginare una lontana parentela con Rops, ha coinvolto e reso attenti me e tutti gli autori presenti, anche i più riluttanti.
Soffermandosi sui quadri e le illustrazioni più significative, le ha descritte enunciando tutti i riferimenti simbolisti e contestualizzandole a livello storico dando così un quadro ben più esaustivo di ciò che si potesse immaginare, tra l'altro il suo francese era chiaro e foneticamente ineccepibile e non è stato difficile seguirla anche nei ragionamenti più impervi.
Ne è emerso sì, un personaggio interessante, ma anche piuttosto ossessionato dalle donne, dal loro potere evocativo e dominante, centro onnipresente delle sue riflessioni ed ossessioni, certo contaminato dalla cultura dell'epoca e dalla relativa condizione femminile, ma facendo immaginare anche un mondo dove le distrazioni evidentemente erano relative, per cui il sollazzo femminile era talmente cruciale e pregnante nella vita dell'uomo da diventarne al tempo stesso gioia e tormento.








 A confronto lo stile di Rops, sopra, e quello di Levine, sotto... circa centocinquant'anni dopo.

 Piccola annotazione personale, da professionista che non può fare a meno di constatare, ogni volta che si scopre un nuovo artista, di quanto non si sia mai inventato niente. Fin dalle prime caricature esposte infatti, la somiglianza del segno di Drop con quello di David Levine (un famoso caricaturista americano che lavorava per il New York Times, molto conosciuto negli anni settanta/ottanta), non solo è apparso evidente, ma sicuramente lo è stato in modo ispirante.
Come affermo da tempo, c'è sempre stato qualcuno più bravo di noi nel passato, è bene farsene una ragione e mettersi l'animo in pace.
Il problema è che siamo talmente concentrati a vedere il presente e, per chi fa qualche sforzo ulteriore, immaginare il futuro, che chi ha l'intelligenza di guardarsi indietro, può trovare patrimoni ancora poco conosciuti che potrebbero influenzarlo e regalargli spunti di qualità inaspettata.




Una delle tante dediche, Guzman che si volta all'indietro... che ci sia qualcuno che sta seguendo?


Siamo arrivati alla sede del Festival in tempo per fare un paio di dediche ed andare a mangiare.
Poi riprendiamo a fare dediche fino all'ora di chiusura, incontriamo Fabio, un pacioso e ciarliero siciliano che vive a Bruxelles amante di fumetti con cui intavoliamo una chiacchierata su, indovinate un po'? Il fumetto (lo so, potevo aiutarvi, non era facile).
Nel frattempo Alessio e Simona ci salutano, hanno l'aereo un paio d'ore prima del mio è già la compattezza dei dedicanti si sfalda.
Poi arriva il mio turno, i "romani", Alessia e Pino partiranno domani, mi salutano ed io con David, il simpatico direttore della scuola e già eletto mio chaffeur personale (mi aveva accompagnato anche all'andata), parto alla volta dell'aeroporto di Charleroi.

Sia all'aeroporto di Bruxelles (mi hanno detto) che quello di Charleroi, è impedito l'arrivo di fronte all'aeroporto sia per auto che per i taxi, dopo gli attentati dell'IS e il grado di allerta vigente nel paese, dopo le pesanti critiche ricevute sui protocolli difensivi dei belgi, si deve scendere a distanza (nei parcheggi antistanti) e raggiungere il terminal a piedi. Non è un gran sacrificio, anche se piove come da statuto nazionale.

Adesso smanetto con impudicizia sul mio fido Ipad, compagno di tante descrizioni e testimone involontario di molte mie esperienze in un posto su un volo Low-cost accanto al finestrino. Fuori le nuvole sono basse, sotto piove, ma io mi godo un tramonto lontano, dove il poco rosso sta annegando in quel chiarore tra l'azzurro ed il giallo che macchia di un verde leggero questo finale di 22 Maggio.
I festival, almeno per questa prima metà di anno, dovrebbero essere finiti... le fatiche, ancora no.

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