topolino


6 ottobre 2015

Passare alla cassa.

Sono preoccupato, e dico sul serio.
Non so voi, ma io da tempo riesco soltanto a notare (o almeno a me sembra così), aspetti abbastanza tristi della quotidianità, o degli episodi che mi si presentano. Forse sarà che quelli allegri passano dopo una risata o uno sberleffo e lasciano meno tracce, sono biodegradabili dal tempo, almeno lo spero, perché altrimenti dovrei ricorrere ai ripari.
Comunque...




In un supermercato della zona, negli anni mi è capitato più volte di incontrare un coetaneo con cui, senza troppe confidenze ma con una piacevole condivisione di momenti della nostra giovinezza, abbiamo giocato a pallone insieme e, insomma, ci conosciamo da tempo immemore senza che nessuno tuttavia abbia lasciato tracce indelebili nell'esistenza dell'altro.
Di un unico episodio mi ricordo anche i dettagli, ed è quando in una partita al campino, io da terzino e lui da ala sinistra (per quanto non ne avesse le caratteristiche), lo atterrai due volte consecutivamente impedendogli così di andare in porta. Due interventi decisi ma regolari, entrambi sulla palla ma che, facendolo inciampare sulla mia lo fecero cadere rovinosamente a terra, e impossibilitati nel rivederla alla moviola, lo fece saltare su tutte le furie, e siccome era anche fumino, me le promise per la volta successiva se l'avessi atterrato nuovamente. Non ho memoria di come finì la partita, ma io alla fine rimasi convinto che, tutto sommato, come difensore non facevo neanche troppo schifo, mi guadagnai la fama del duro, ma mi è rimasto il dubbio del perché invece ho sempre preferito fare il portiere.

Io sono fisionomista, per cui anche quando l'ho rivisto, seppur saltuariamente negli anni anzi, anche con intermezzi di decenni, ho sempre saputo chi fosse, anche perché lui non ha mai cambiato lavoro, dentro al supermercato lavorava, e questo fa ancora adesso.
Negli anni l'ho osservato. 
Il tempo passa per tutti e su ognuno di noi lascia le sue impronte indelebili, con più o meno decisione, con maggiore o minore clemenza. Di lui ho conosciuto anche un fatto poco gradevole di molti anni fa che temo possa anche averlo segnato, o forse sono io che, essendone venuto a conoscenza, mi sono lasciato influenzare. Non so.
E' solo, single e senza figli, mi sono fatto l'idea di una persona triste con la quale la vita è stata più avara del solito, come se sul suo volto fosse scritto che le soddisfazioni incontrate sul suo percorso, alla fine, non siano poi state molte.

Qualche mese fa, passandogli di fronte alla cassa, mentre prendeva dal nastro trasportatore la merce acquistata e segnalava il codice a barre passandola sul lettore, tra un bip e l'altro, ha alzato lo sguardo, stanco come al solito e, in un barlume di lucidità, deve avermi riconosciuto. Io, pur osservandolo nei suoi gesti quotidiani, anche in altre occasioni, non ho mai avuto né tempo né voglia di risvegliare chissà quali rimembranze, c'era gente in fila ed oggi tutti hanno fretta. E per dirsi cosa, poi? 
Di quella volta che...appunto, che?
Ma quella volta mi ha salutato, anche se non si ricordava il nome (ed infatti ha evitato di dirlo), ha dato segno di un risveglio della memoria, si è scusato per non averlo fatto prima, non mi aveva riconosciuto, non aveva prestato attenzione ad un volto tra i mille che gli passano ogni giorno e, con un sorriso anch'esso stanco, mi ha cordialmente congedato, passando al cliente successivo.

Oggi quando sono arrivato alle casse, come sempre ho fatto il calcolo mentale di quale fosse la fila più corta, pur non avendo orari da osservare né impegni di altro tipo, il mio stress cerco sempre di tenerlo in allenamento, giusto perché non abbia il tempo di rilassarsi. C'era una discreta scelta, e poche persone ovunque.
L'ho notato alla cassa e, vuoi per una specie di pudore, vuoi per evitare un'eventuale scambio di battute ermetiche quanto inutili, ho deciso per la cassa accanto.
Ma qui la cassiera si è sbrigata ad informarmi che la fila era terminata e la cassa in chiusura e che la cliente a cui stava facendo il conto era l'ultimo.
Non ho avuto scelta.
Il tempo di deporre le merci sul nastro, e poi lui ha alzato subito gli occhi riconoscendomi immediatamente.

-Ciao, come va? Tutto bene?-
-Sì, grazie.-
-Dove lavori tu?-
-Be', qui a Cecina, in casa, sai...sono un libero professionista...-
-E che lavoro fai?-
-Disegno fumetti, li scrivo e li disegno.-
-Ah...e che cosa di preciso?-
-Be'...li disegno principalmente, ma a volte li scrivo, sono anche autore, ed ho anche una scuola.-
-Ah, e ci vivi bene?-
-Be', sì, abbastanza... non mi lamento, oggi il mercato è un po' in crisi...tuttavia...-
-Insomma lavori per gli editori?-
- Eh, sì...italiani, francesi...-
-Ed è facile?-
-Bah, sai....quando le cose si sanno fare sembra tutto facile ma...-
-Hai sempre fatto quel lavoro lì?-
-No, ho lavorato anche nella moda...nel design...-
-Ah...-
-Lavori per gli editori...-
-Sì, lavoro per Sergio Bonelli, sai..quello di Tex...ci lavoro da sempre-

Per un momento il volto gli si illumina, tra tanti misteri e stranezze, una cosa che conosce, l'editore di Tex è patrimonio dell'umanità, forse adesso è riuscito a collocarmi.

La fila è terminata, la merce contabilizzata ed imbustata, io pago.
Un breve saluto, io mi allontano triste ed abbattuto e lui passa al prossimo, con i soliti gesti ripetitivi e quotidiani.

Il dialogo in sé non è niente di particolare. Detto così.
L'importanza sta tutta nel tono, nello sguardo, nell'emotività di quello scambio di parole, in tutti gli anni che ci dividono e in tutte quelle esperienze che abbiamo fatto e che non solo non abbiamo condiviso, ma ha scavato tra noi un solco enorme ed incolmabile che ci ha resi così diversi, così distanti, due universi distinti neanche avvicinabili.
Noi ricordiamo un'epoca fatta di uguaglianze, di principi semplici ed esperienze comuni, di tipologie standard: il rissoso, il bugiardo, quello bravo a pallone ma scarso a scuola, quello bravo e secchione, quello solo scarso a scuola, quello che ha fumato prima di tutti, quello bravo e basta, quello già sviluppato e pieno di peli, quello che piaceva alle ragazze....tipologie standard, appunto. Tutto sembrava accomunarci, i campini su cui giocare a pallone, il cinema del giovedì, o quello della sera vietato ai 18 anni, le uscite di scuola, fumare di nascosto dai genitori, i giornaletti porno, il biliardo al Bar Norge.
Il tutto era classificato in modo semplice, per meriti scolastici e non, per meriti calcistici e non, per meriti sociali e non...in un organigramma che sembrava scritto sulla roccia e che pensavamo, illudendoci, che sarebbe rimasto immutabile nel tempo.
Sembrava così semplice.
Ma poi quelle differenze che in realtà ci distinguevano di già, ci hanno cambiato ogni giorno di più: la scuola, gli interessi, il lavoro, il coraggio di alcune scelte, la vigliaccheria di certe rinunce, gli incontri, il mondo, la vita.



Ed oggi tutto questo mi ha schiaffeggiato con la violenza dei tuoi capelli bianchi, del tuo sguardo vuoto di uomo arreso, con quel tuo tic che ti fa stringere la bocca come un anziano, con le tue unghie mangiate, con quel tuo incedere lento e leggermente ricurvo, in quel pallido ricordo di quello che sei stato.
Di quello che sono stato.
Di come eravamo.
Tutti.






2 commenti:

  1. Notevole. Attendo con ansia il tuo primo romanzo (non illustrato). Sul serio.

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  2. Ti ringrazio, sei davvero gentile per quello che dici e mi fa molto piacere, ma sinceramente non so cosa risponderti, mi mancano le parole per una risposta adeguata, che sinceramente al momento non riesco a darti.
    E per un potenziale romanziere, la cosa non depone bene....

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